In occasione della
pubblicazione dell'intera opera poetica di Michele Parrella, Giovanni
Russo detto Giovannino, giornalista del “Corsera” meridionale e
meridionalista, ne rievoca la figura umana e artistica, giustamente
rivendicando per lui un ruolo non marginale nella storia del
Novecento letterario. (S.L.L.)
Michele Parrella |
La pubblicazione di tutte
le poesie di Michele Parrella (Poesie 1947-1996, Avagliano
editore, pp. 347, 15), che divise la vita tra la sua regione, la
Lucania, e Roma, non è solo un avvenimento letterario, ma è anche
l' occasione di compiere un atto di riparazione per il silenzio o l'
omissione dei critici. Giuseppe Lupo ne ha restaurato l' ordine:
dalle prime raccolte Poesia e pietra di Lucania, Paisano,
La piramide di pietrisco, a La piazza degli uomini e
Poesie civili e d'amore; ha ritrovato poesie disperse su
riviste o giornali e quelle inedite, alcune manoscritte, che donava
agli amici più cari. Abbiamo così tutta la sua opera poetica, che
lo pone allo stesso livello dei poeti più celebrati del Novecento e,
come scrive nella postfazione Andrea Di Consoli, lo mette «a fianco
di Leonardo Sinisgalli, Albino Pierro e Rocco Scotellaro, modificando
e allargando definitivamente la triade (il grande canone poetico
lucano novecentesco) in quartetto».
Nel telero Lucania 61
realizzato da Carlo Levi per rappresentare la Basilicata nel
centenario dell'unità italiana, Parrella appare accanto a Giuseppe
Zanardelli, Giustino Fortunato, Guido Dorso, Francesco Saverio Nitti
e all'amico Rocco Mazzarone, mentre Rocco Scotellaro parla ai
contadini: una rappresentazione del mondo politico e culturale in cui
fiorisce la sua poesia. Dal paese-teatro delle prime raccolte, in cui
prevale il rapporto tra poesia e musica («col cupo-cupo / ho
riempito i miei versi / i primi che ho scritto»), emerge la seconda
fase della sua poesia che, pur mantenendo l'eco della filastrocca o
della cantilena, affronta i temi politici, civili e sociali della
Basilicata e della società italiana ed europea. È simbolica di
questo passaggio la poesia intitolata Laurenzana, il paese
natale: «Qui sono nato, qui ritornerò. / Ma come un aquilone / ho
attraversato il Serrapotamo, / la Camastra, il Basento. / Come un
aquilone / sono passato sull' Appennino, / la valle dei padani, il
Brennero. / E al mattino, simile / a un aquilone dal filo / infinito
ho sorvolato l' Europa / azzurra come il Volturino».
Sarebbe un errore
restringere l'«aquilone» Michele Parrella in una poetica
meridionale, limitarlo in una rievocazione di un mondo perduto o alla
vibrazione tenera di sentimenti legati alla nostalgia. La poesia
italiana è sempre stata personale ed elitista. Parrella ha il
sentimento dell'epico come i grandi poeti classici. Pasolini è stato
certo un poeta civile, ma legato all'ideologia del comunismo,
Parrella non si identifica con un partito. Citiamo l' ultima parte
della poesia del 1978 intitolata Il cieco futuro del partito
armato, che fu pubblicata con un disegno di Guttuso nella
“Domenica del Corriere” durante il sequestro di Aldo Moro: «Un
triste banchetto / si è diffuso / un banchetto di stracci, di frasi
/ che si scontrano in un imbuto vuoto / e si fa esempio del popolo
divenuto bersaglio e fiera. / Fingendo una nuova bandiera / si grida
a un cieco futuro / che non cadrà come frutto maturo / se non in
quella tetra frontiera / ove il sogno della realtà si perde / e
s'infrange ogni sembianza d'Europa».
Nella poesia Nord e
Sud, scritta nel novembre 1993, il ruolo che ha avuto la
magistratura nella vicenda di Tangentopoli e la morte di uno degli
incriminati diventano poesia: «È Milano al centro / di questo
livido / tambureggiare / S' intravedono le ceste, / le inferriate, il
patibolo. / Un feretro esce dai carriaggi / delle carceri / i reclusi
restano chiusi nelle celle / nelle strade / il popolo fischia e
applaude / al passaggio di quel corpo / con la testa avvolta nella
plastica». Al disprezzo della vita, Parrella contrappone l'umanità
della sua terra lucana: «Nel mio villaggio / nel popolo decimato /
della Basilicata sopravvive la pietà».
L'emigrazione è l'altro
motivo dominante della sua poetica: prende spunto da una visita ai
Sassi di Matera e, guardando un buco nero scavato nel tufo, scrive:
«Da quella porta / sono usciti i nostri padri / i nostri fratelli /
che in Europa fanno ruotare / i torni, i mulini».
Roma è presente come la
Lucania e ha il colore e il fascino della notte, una Roma notturna
amata e percorsa tra obelischi e ruderi. Queste poesie sono anche un
colloquio, e spesso un dialogo intenso, che talvolta riguarda l'amico
più caro, Antonello Trombadori, talvolta si rivolge a Carlo Levi e
Rocco Scotellaro, numi tutelari della Basilicata, sempre con la
nostalgia dei paesi lucani proprio come un aquilone il cui filo sia
rimasto impigliato nella terra di origine.
Le poesie dedicate alle
immagini femminili sono piene di grazia, di delicatezza, fotofinish
di donne colte nei loro sguardi, nei loro passi, fissate mentre
contemplano una statua o un obelisco.
Michele Parrella, che ha
scritto anche racconti, articoli per la rivista “Civiltà delle
macchine”, è stato regista di documentari d' arte e d' ambiente
sociale e uno dei protagonisti del mondo culturale e letterario
romano. Dopo la morte, avvenuta l' 8 marzo 1996 a Roma (era nato il
17 ottobre 1929), era sceso su di lui un ingiusto silenzio forse
perché è vissuto solitario e orgoglioso, schivo e libero da
corteggiamenti verso i potenti della corporazione letteraria.
Corriere della Sera, 14
giugno 2007
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