Reso celebre come
fotoreporter da un’iconografia che lo mostra in uniforme e anfibi
sui teatri di guerra di mezzo mondo, è alquanto singolare immaginare
Robert Capa fra le risaie del vercellese in veste di fotografo di
scena per il film neorealista Riso amaro girato nel 1948. Ma
che c’entra Robert Capa in Piemonte? Forse ad attirarlo sul set del
regista Giuseppe De Santis era stata l’attrice americana Doris
Dowling, sua fiamma del momento, impegnata nel cast insieme con
Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Raf Vallone. Comunque sia, il
rapporto fra Capa e il cinema è stato piuttosto solido e lo
approfondisce la mostra, la cui locandina lo ritrae mentre imbraccia
una cinepresa, Robert Capa. La realtà di fronte allestita
nella scenografica Villa Manin a Passariano di Codroipo. È la sola
retrospettiva europea in corrispondenza col centenario della sua
nascita che cadrà il prossimo 22 ottobre (in Italia c’è anche una
mostra a Roma, presso Palazzo Braschi, tutta dedicata ai suoi scatti
sullo sbarco degli alleati).
La rassegna friulana,
promossa dalla Regione, l’Azienda speciale Villa Manin, è frutto
di una collaborazione con Magnum Photos di Parigi e il Centro
internazionale di fotografia di New York. Dei 180 scatti esposti, la
sezione più intrigante, e la meno esplorata finora, è quella
relativa al cinema. La foto che ritrae Capa mentre maneggia una
cinepresa da 16mm venne scattata in Spagna da Gerda Taro,
compagna di vita e di lavoro dell’età giovanile. La stessa foto è
stata poi pubblicata nel dicembre 1938 sulla copertina della rivista
inglese Picture Post che, nella didascalia, definì Capa «il più
grande fotografo di guerra al mondo». Prese così avvio nel corso
della guerra civile spagnola, parallelamente alle riprese
fotografiche, l’attività filmica di Bob. Il documentario Espagne
1936, diretto da Jean Paul Le Chanois e prodotto da Luis Buñuel,
ne fornì una prima testimonianza. Capa collaborò alle riprese che
vennero effettuate dal cineasta russo Roman Karmen. In Spagna,
continuò a lavorare, con puntate a tema, per i filmati del
cinegiornale americano March of time (“Il corso del tempo”),
notiziario seguitissimo dal pubblico statunitense. I primi nove mesi
del 1938 li trascorse in Cina al seguito della troupe del cineasta
olandese Joris Ivens. Impegnato in documentari dal taglio
socio-politico, Ivens girò le sequenze de I 400 milioni,
incentrato sulla guerra cino-nipponica vista dalla parte dei
nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek. L’attore dell’epoca
Fredric March, nel documentario, prestò la voce narrante. Dal 1942
al 1945 Capa fu poi corrispondente per Collier’s e Life dai fronti
di guerra in Africa settentrionale, nel Mediterraneo e in Europa. È
in quegli scenari che gli si offrì l’opportunità d’incontrare e
allacciare amicizia con noti registi di Hollywood i quali lavoravano,
a beneficio della propaganda bellica, per l’esercito a stelle e
strisce: John Huston, George Stevens, Alfred Hitchcock realizzavano i
notiziari cinematografici che venivano proiettati nelle sale delle
città americane.
Ingrid Bergman e Alfred Hitchcock |
Quei personaggi
torneranno utili a Capa nell’immediato dopoguerra allorché il
fotografo intensificò il rapporto, anche per ragioni di carattere
sentimentale, con l’ambiente del cinema. Incontrò, infatti, Ingrid
Bergman e nacque un amore. La loro storia andò avanti - tra
frequentazioni e lontananze - per un paio di anni. Parigi stregò
Capa fin da quando vi giunse la prima volta, a vent’anni; e non
solo perché la capitale francese rappresentava il centro mondiale
della fotografia. Ai principi dell’estate '45 Capa si aggirava con
Irwin Shaw, drammaturgo e sceneggiatore, nei pressi del Ritz, quando
gli arrivò la soffiata che nel lussuoso albergo soggiornava Ingrid
Bergman. Il fotografo mollò l’amico e agganciò l’attrice per
strapparle qualche scatto. Non ci volle molto per andare a cena
insieme. Ma la scintilla non scoccò nella stereotipata e romantica
Parigi, bensì nella disastrata Berlino, ridotta a un cumulo di
macerie. Alcuni interni della città fecero da stridente sfondo ai
primi piani che Capa rubò alla seducente attrice. Lei aveva un
marito in Svezia, ma si dichiarò pronta a lasciarlo per l’improvvisa
attrazione verso quel fotografo scanzonato, dai tratti somatici
mediterranei. E lui, da parte sua, non si lasciò pregare: la seguì
a Hollywood, sperando di aprire le porte, molto prosaicamente, per
entrare nel cinema come fotografo di scena.
Anna Magnani sul set de "La carrozza d'oro" . Foto di Robert Capa |
Capa si rivelò presto
insofferente alla vita sedentaria, anche se ebbe la possibilità di
lavorare sul set dei film in cui era impegnata la Bergman: Notorious
di Hitchcock del ’46 e Arco di trionfo di Lewis Milestone del ’48. Alla
richiesta dell’attrice di sposarsi, fece marcia indietro. Nello
stesso anno, tornò in Italia. L’aveva risalita dalla Sicilia fra
il ’43 e il ’44 al seguito delle armate degli alleati. Si spostò
nei dintorni di Vercelli, catalizzato da un’altra attrice, Doris
Dowling, che recitava in Riso amaro di De Santis. Il 1947 era
stato l’anno di Magnum Photos. Capa, che fu autore del progetto che
dette vita all’agenzia fotografica, si recò in Turchia a
realizzare un documentario per il cinegiornale March of time.
Il nome Magnum, dato all’agenzia, era un omaggio all’ottimo
champagne francese che Capa e soci stappavano senza risparmio
in ogni occasione. Alcol, fumo e donne, oltre al gioco, hanno
costantemente dominato il suo tempo libero.
Silvana Mangano e Doris Dowling in "Riso amaro". Foto di Robert Capa |
Gli anni ’50 si
aprirono invece con un reportage in terra d’Israele, il terzo per
il fotoreporter dopo la guerra del 1948. Nel paese mediorientale si
fermò circa due mesi per girare un documentario per conto dell’Uja,
l’influente organizzazione ebreo-americana, sui sopravvissuti della
shoah che, sbarcando nel porto di Haifa, divenivano cittadini
israeliani. Il documentario intitolato The journey (“Il
viaggio”), poco meno di trenta minuti di proiezione, sarà visibile
per la prima volta durante la mostra friulana. Ancora nel 1950
ottenne da registi del livello di John Huston, suo vecchio amico, e
Howard Hawks l’esclusiva per la ripresa fotografica dei loro film.
La collaborazione con il cinema proseguì e nel 1952 Capa si trovò a
Roma, sulle scene del film La carrozza d’oro di Jean Renoir,
girato interamente a Cinecittà, con protagonista Anna Magnani. Con
John Huston si reincontrò di nuovo per Moulin rouge interpretato
da Josè Ferrer e Zsa Zsa Gabor; nel ’53, ancora con Huston, era
sul set di Il tesoro dell’Africa. Le riprese avvennero a
Ravello sulla Costiera amalfitana, dando luogo a una rimpatriata fra
amici. Oltre a Huston, c’erano l’icona Humphrey Bogart e il
geniale Truman Capote, in veste di sceneggiatore, le protagoniste
femminili della pellicola Jennifer Jones e Gina Lollobrigida. Per
Capa, stando in Italia, sarebbe stato più facile spostarsi dalla
Costiera a Cortina d’Ampezzo per fare un reportage, incaricato
dalla rivista Holiday, sulla mondana località sciistica.
In quell’anno Capa fu
anche sul set del film La contessa scalza di Joseph Mankiewicz
con la diva dell’epoca Ava Gardner e ancora «Bogie» Bogart.
Alcune scene di lavorazione vennero girate sulla riviera ligure, fra
Sanremo e Portofino. Alla mostra di Villa Manin non poteva mancare la
sezione di ritratti su di lui, Capa, eseguiti dai colleghi più cari
del suo tempo: compagne di passione, come Gerda Taro; compagni di
avventura, come Henry Cartier-Bresson.
“alias – il
manifesto”, 19 ottobre 2013
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