Per i 40 anni dalla morte di Sigmund Freud "L'Europeo" raccolse, in una sorta di "dossier" vari interventi e testimonianze. Tra gli altri questo, dello storico dell'arte Giulio Carlo Argan, all'epoca sindaco di Roma. (S.L.L.)
Avendo scoperto
l'inconscio, Freud è morto proprio quando, con la guerra, la libido
distruttiva, liberata, scuoteva le strutture del mondo. Le
coincidenze non hanno significati storici occulti, la storia è
l'opposto dell'occulto. Nell'ordine del destino, però, ha un senso
che Freud abbia vissuto l'incipiente tragedia della guerra con quella
della propria malattia. Sapeva che la persecuzione degli ebrei
sarebbe finita in genocidio: come Thomas Mann sentiva che il ciclo
storico si chiudeva perché gli uomini cacciavano Dio dal mondo come,
al principio, Dio aveva cacciato gli uomini dal Paradiso Terrestre.
Finendo il divino, che appartiene alla coscienza, si scatenava il
sacro: invano aveva cercato di tener separati i due elementi
affinché, toccandosi, non deflagrassero. L'oggetto del suo pensiero
era Mosè: aspettava impaziente la pubblicazione del libro. Perché
uscisse prima della sua morte o prima dello scoppio della guerra?
Mosè era in rapporto col sacro, la mitologia del profondo; Aronne
era l'uomo del divino, che traduceva il messaggio in discorso,
parlava col popolo. Dunque bisognava demitizzare Mosè,
storicizzarlo: anche lui, Freud, aveva voluto nascondere la faccia
del mostro che aveva scoperto, essere nient'altro che un medico.
Eppure anche lui, come il suo Mosè, aveva dovuto lasciare la patria
per trovare nell'esilio la terra promessa. Terra promessa come
diaspora: anche questo era un ciclo che si chiudeva.
A Mosè era arrivato da
Michelangelo: lo aveva sempre attratto l'arte figurativa, pensiero in
immagine, senza parole. E prima aveva studiato Leonardo, la presunta
origine del suo inconscio biologico e psicologico legato al dinamismo
occulto dei moti palesi. Al contrario, Michelangelo era il super-ego,
l'uomo dell'oltre-storia e oltre-natura, la salita al divino
attraverso la consunzione della materia e la rinuncia alla
forma-parola. Quel che con la guerra finiva era il mondo della
ragione, dell'ego, della parola. Forse Freud, al principio della
guerra, provò qualcosa di non molto dissimile da quel che dovette
provare Einstein quando la guerra finì con la bomba atomica.
"L'Europeo", 20 settembre 1979
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