Da anni si consuma in
Italia uno spaventoso crimine seriale, ma un suo aspetto peculiare ci
ha impedito di riconoscerlo come tale. Sono infatti simili le
vittime, è ripetitivo il modus operandi, è ricorrente la
figura dell'assassino. La novità agghiacciante è che ogni volta il
killer viene arrestato –anche facilmente –, ma il massacro
continua. Il testimone sembra passare da un assassino all'altro. Come
un virus.
E allo stillicidio di
donne uccise dai loro compagni, mariti o ex-tali si è infatti
riconosciuto un carattere endemico e si è dato anche un nome,
“femminicidio ”.
La domanda è: che ruolo
ha svolto la narrativa del crimine di fronte a questo fenomeno? È
rimasta fedele a quanto diceva Ernest Mandel, secondo cui
“l'evoluzione del romanzo poliziesco riflette l'evoluzione del
crimine stesso”?
Nel giallo italiano
muoiono molte donne per mano di uomini. Ma non è il quanto che ci
interessa. È il come: come questi delitti vengono raccontati. Ne La
vampa di agosto, per esempio, Montalbano scopre in un
seminterrato il cadavere di una ragazzina. Decide tuttavia di
rimandare la denuncia al giorno dopo per salire al piano di sopra e
godersi una serata di sesso con la sua Livia. Come mai tanta
insensibilità per una vittima, giovane e femmina, in un prototipo di
progressismo come Salvo Montalbano? Non è affatto una sbavatura del
personaggio, è anzi perfetta aderenza alla propria formula. In
Camilleri la morte non irrompe mai sulla scena con il suo potere
devastante: è uno stato (qualcosa di già stato) ormai
irreversibile. È quindi tenuta a distanza, nel tempo e nello spazio,
in una caverna o in una cantina chiuse da anni, nel mare o in una
villa isolata. Nel giallista italiano più seguito il fulcro stesso
dell'atto criminale, la morte, non esiste se non come pretesto
necessario, ma più remoto possibile, al gioco dell'indagine.
Nella realtà dei fatti
il femminicidio lascia invece all'indagine uno spazio quasi nullo,
perché i colpevoli di questi delitti spesso confessano o si
costituiscono – quando non si suicidano. Magari hanno tentato la
fuga o rabberciato qualche alibi, ma una volta messi alle strette
crollano entro poche ore. Il gioco non può iniziare perché uno dei
giocatori ha già rinunciato alla partita. Anche quando il
femminicidio è stato deciso a freddo, la mente di questi assassini
non è stata capace di pianificare niente oltre il delitto. Uccidere
la donna che hanno (o hanno avuto) accanto è stato certificare con
il sangue il proprio totale fallimento. Talvolta rivendicano al
proprio delitto il tentativo impossibile di ripristinare un ordine,
cioè lo status quo ante di una relazione amorosa ormai defunta. Un
perverso parallelismo con lo stesso compito, e il più grande limite,
che si riconosce all'indagine su un delitto.
Restiamo in cima alle
classifiche italiane, restiamo nel giallo. Il suggeritore di
Donato Carrisi si apre con il ritrovamento di sei piccole braccia
sepolte in un bosco. Nessuno, in questo caso, si sogna di dire “okay,
vado a cena con la fidanzata, poi torno”. Siamo in un thriller, il
tempo è prezioso e poi si scopre che appartengono tutte a delle
bambine. Se il “bpm” della narrazione deve salire subito, sei
braccia sono meglio di una, sei braccia di bambini sono meglio di sei
braccia di adulto, sei braccia di bambine sono il massimo del
mostruoso. L'elemento femminile è quindi al massimo della scala dei
gradienti emotivi. Tanto più piccole e indifese le vittime, tanto
più insopportabile il crimine, tanto più desidereremo trovare il
colpevole e buttare la chiave senza zavorre psico-sociologiche.
Laddove Camilleri tiene la morte e la violenza a debita distanza dal
lettore, Carrisi le usa invece per mettere fra noi e l'assassino il
recinto di sicurezza della psicopatologia estrema. Ma non di rado le
donne italiane sono state uccise da uomini tutt'altro che
diagnosticabili come violenti o antisociali.
Ho citato questi due
autori perché, con il successo dei loro diversi paradigmi e con i
rispettivi epigoni, rappresentano due modelli oggi dominanti. Due
modelli estranei a tutto ciò che non offra gratificazioni
investigative al loro eroe e rassicurazioni emotivo-giudiziarie ai
loro lettori. Inadeguati quindi a raccontare il lento massacro delle
donne nei tinelli d'Italia per come davvero è: una violenza scarna,
anonima e terminale.
Eppure si può fare.
Altrove si è fatto e si fa. Georges Simenon, accanto alla serialità
di Maigret, crea storie di oscuri assassini come L'uomo che
guardava passare i treni o Lettera al mio giudice. David
Peace percorre in chiave criminale l'Inghilterra del declino
laburista e dell'ascesa thatcheriana secondo una variante
post-moderna e più angosciosa delle convinzioni di Mandel: “i
delitti del nostro tempo contribuiscono a definirci e, in ultima
analisi, a dannarci”. Anche se non siamo i condannati in quanto
colpevoli, in alcuni crimini si agitano i nostri fantasmi e le nostre
contraddizioni. Fino ad arrivare a chi, come il fumettaro Alan Moore,
nel monumentale From Hell svela da subito l'identità di Jack
Lo Squartatore e, proprio grazie alle fallimentari indagini di
Abberline, racconta di “uomini che odiano le donne”, pur
venerando la propria nazione nel corpo intoccabile di una Regina.
La riluttanza del giallo
italiano a raccogliere la sfida di narrabilità che la violenza
domestica pone sembra piuttosto solida. Una possibile risposta
potrebbe essere estranea, o meglio precedente, a una dialettica di
genere. Denudati dei piani artificiosi con cui il giallo d'indagine
li riveste da un punto di vista narrativo, i delitti del tinello sono
avvertiti come profondamente scandalosi. Rivelano infatti che la
famiglia, ultimo baluardo di sicurezza in questi tempi di crisi, è
in realtà solo un feticcio elettoralistico
bipartisan. Qualcosa l'ha minata dall'interno.
Già nel 2001 Luigi
Bernardi, in A sangue caldo, profetizzava: “...la
progressiva uscita di scena dello Stato come unico fornitore dei
servizi elementari per la vita…scaricherà ancora di più sulla
famiglia le tensioni e le paure che da sempre accompagnano le
incognite sul futuro. E non è un caso che sia proprio la famiglia a
pagare il prezzo più alto di questa criminalità, sia in termini di
vittime che in quello di carnefici”.
Con le donne regolarmente
iscritte nell'elenco delle prime.
“pubblico” 8.12.12
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