Per i cinquant'anni della
morte di Freud “l'Unità” chiese a Edoardo Sanguineti un
contributo sulle conseguenze della “rivoluzione psivanalitica”
nell'uso linguistico. Ne venne fuori questo breve a saggio, a mio
avviso magnifico. (S.L.L.)
Il naso di Edoardo Sanguineti |
Nel 1938 Marcel Mauss in
uno splendido saggio sul concetto di “io” ne tracciava a grandi
linee la storia «da un semplice mascheramento alla maschera, da un
personaggio a una persona, a un nome, a un individuo, da questo a un
essere di valore metafisico e morale da una coscienza morale a un
essere sacro, da questo a una forma fondamentale del pensiero e
dell'azione». Il punto d'approdo era segnato dalla nascita dell'«io»
(das Ich) come «cate goria» poiché da quel momento «la
rivoluzione delle menti è un fatto compiuto ciascuno di noi ha il
proprio io, eco delle
Dichiarazioni dei diritti che avevano preceduto Kant e
Fichte».
Pochi anni prima però,
nel 1932, rielabo rando alcuni passi di L'Io e l'Es (1922)
nella lezione 31 della sua Introduzione alla psicoanalisi
Freud innalzava a titolo La scomposizione della personalità
psichica, scrivendo tra l'altro, a superamento dell'uso impreciso di
«inconscio» (e di «sistema Ubw» Unbewussf): «Adeguandoci all'uso
linguistico di Nietzsche e seguendo un suggerimento di Georg
Groddeck, lo chiameremo d'ora in poi Es. Questo pronome impersonale
sembra particolarmente adatto a esprimere il carattere precipuo di
questa provincia psichica, la sua estraneità all'Io»
E aggiungeva: «Super-io,
Io ed Es sono dunque i tre regni, terrritori, province, in cui noi
scomponiamo l'apparato psichico della persona». Per quella storia
delineata da Mauss così veniva a definirsi un determinante capitolo
nuovo, più che abbozzato in piena fine di secolo e destinato ormai a
reagire retrospettivamente anche sopra tutti i precedenti paragrafi.
L'esempio addotto,
inoltre, illumina bene con un caso cruciale come il freudese
sia stata lingua complessa e stratificata dinamica e problematica, il
che è troppo nolo e troppo evidente né occorrerebbe ripeterlo, se
non fosse utile aggiungere che Freud per primo ebbe a preoccuparsi
degli abusi a cui il nascente psicanalese si trovava anche
troppo facilmente esposto. Valga anche per questo un singolo
documento nella Storia del movimento psicoanalitico edita nel
'14 Freud polemizza con la dottrina dei «complessi» di Jung quale
era nata «dai suoi studi sull'associazione verbale degli anni
1906-1909, e oserva che se la dottrina appare inaccoglibile «la
parola complesso invece ha acquistato diritto di cittadinanza nella
psicoanalisi come termine adeguato e spesso indispensabile per la
descrizione riassuntiva di uno stato di fatto psicologico. Nessun
altro fra i nomi e le designazioni coniati per le esigenze della
psicoanalisi ha raggiunto popolarità così grande né è incorso
così spesso in applicazioni abusive a detrimento di formazioni
concettuali più precise. Nel gergo degli psicoanalisti si è
incominciato a parlare di ritorno del complesso quando ci si riferiva
al ritorno del rimosso oppure si è presa l'abitudine di dire ho un
complesso contro di lui quando l'unica espressione corretta sarebbe
stata ho una resistenza contro di lui».
Oggi in una situazione in
cui parliamo tutti psicanalese come tanti gentiluomini
borghesi in prosa senza nemmeno avvedercene, rigori concettuali e
coscienza filologica sono fatalmente anche più rilassati se non
fatalmente accantonati. Del resto a discorrere di psicanalese
al minimo si incominciò nel 78 (A Milano si parla in
'psicanalese' era un titolo sul Corriere del 29 settembre per un
articolo di Cesare Medail che riferiva tuttavia di studi e di
convegni) e Luca Goldoni qualche anno dopo (su quel medesimo
giornale, 12 giugno 1982) rispondendo a una lettrice si domandava Lo
psicanalese è lessico familiare? E lamentava che sopra i
periodici come nel discorso quotidiano si affollassero ogni giorno
nuove «sindromi (della cinquantenne, della casalinga,
dell'adolescente represso. della femmina castrata ecc.)» mentre una
liceale «non riesce più a ingranare col suo boy» perché quello
"ha un Edipo pazzesco” e la massaia spiega al professore dei
figlio nel debito colloquio che costui «ha dei problemi» avendo
avuto «una crisi di identità alla nascita della sorellina» o
nutrendo un invincibile «rifiuto del padre».
La verità è che in quel
grande decorso che muovendo da Freud diramò dapprima, con elementare
scarto, tra Adler e Jung si sono immessi ormai, dal kleinese
al lacanese, tanti e tali immissari che usi e abusi diventano
sempre più difficilmente discernibili, proprio come avviene
necessariamente ogni volta che una lingua speciale dilatandosi e
facendosi sempre più infrenabilmente pervasiva, viene a colorare di
sé un po' tutto il nostro vocabolario. Il problema di fondo a questo
punto non è con quanta frequenza e con quanta distorsione oggi si
possa discorrere, per attenerci al freudese, di libido
e di latenza, di scena primaria e di pulsione di morte, di fase orale
e di fase anale, di transfert e di controtransfert, di regressione e
di proiezione, di sublimazione e di invidia del pene, anche perché
c'è sempre un Laplanche-Pontalis, volendo, a portata di mano e di
stretto controllo. Il nodo vero, piuttosto, nella coscienza
collettiva o, se vogliamo, nell'inconscio collettivo, rispecchiato
fedelmente nel lessico e nei colori verbali, riposa sintomaticamente
in una crisi irreversibile della «categoria dell'io» (dell'«io
come categoria») in favore per un verso di un “io diviso” e per
altro verso di un “io minimo”, secondo il valore anche più
traslato che tecnico delle due denotazioni.
Così, se non rischiasse
di apparire un motto di spirito degno di analisi, esplodono congiunti
da un po' di anni a questa parte un «ego fragile» e un «ego
inflazionato», un «ego debole» e un «ego narcissico».
E il narcisismo (una
parola, sia detto per inciso, che Freud non sapeva nemmeno più se
restituire a Nacke o a Ellis, ma che dai tempi della freudiana
Introduzione al narcisismo ad ogni modo ha compiuto non poco
cammino e attraversato non lievi metamorfosi) ci piove intanto da
ogni parte.
Ma lo psicanalese,
conviene ancora rilevare, non è soltanto psicanalese e cioè
un fenomeno lessicale e concettuale. È anche un fenomeno
grammaticale. È una struttura sintattica. Le due grandi forme del
«lavoro onirico», la «condensazione» e lo «spostamento», due
categorie che sono penetrate in tutte le scienze umane,
dall'antropologia alla linguistica, anche in veste tradizionale di
«metafora» e di «metonimia», hanno fornito, con nuovi codici
comunicativi, nuovi costrutti mentali nuove forme di organizzazione
all'immaginario e al vissuto insinuandosi tra principio del piacere e
principio della realtà. Le sperimentazioni pionieristiche di
«scrittura automatica» nell'attività surrealista non possono
affatto ridursi a una sezione chiusa negli archivi dell'avanguardia
storica. Una pratica dell'inconscio, in un certo senso, ha portato
davvero l'immaginazione al potere ben oltre i recinti ormai classici
dei Champs magnétiques, del Chien andalou, della Femme
100 tétes. Non parlo di estetica pura, ma del fenomeno
sociale verificabile in videoclip come in videospot. Così intorno al
potere dell'immaginario e ai meccanismi della persuasione occulti e
alla sintassi dell'inconscio in genere non sarà male ritornare un
po' a meditare, di questi tempi.
“l'Unità”, 23
settembre 1989
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