Canarino arricciato di Parigi |
“La
poesia è un canarino in una miniera di carbone”, ha scritto J.
Lawrence Ferlinghetti. Mi è tornato in mente a Zollverein, vicino a
Essen, nel cuore della Ruhr: lì, in Germania, c'era una delle
miniere più grandi del mondo, scendevano sottoterra migliaia di
uomini. È stata magistralmente ristrutturata, ora è un monumento di
archeologia industriale e vale la pena di visitarla. Nei giorni
scorsi, organizzato con la Francia, si è svolto il Forum d'Avignon
Ruhr: studenti, scienziati, scrittori, artisti, politici e
imprenditori riuniti a immaginare una società diversa, nella quale
economia e cultura collaborano. Più giustizia e creatività, meno
conformismo. Nella Ruhr e in Germania sono stati maestri nel
rinnovarsi e ridisegnare l'economia attraverso i beni culturali,
dando spazio ai giovani: e noi, che siamo la superpotenza mondiale
della cultura?
Il
canarino torna a cantare, insomma. Lo fa in mille modi diversi. Lo
sanno gli appassionati (Umberto Saba era uno di loro) che se li
coccolano. Hanno mille forme, piume, gorgheggi: chi pensa che il
canarino sia solo giallo («Mi è semblato di vedele un gatto»,
Titti) si sbaglia. Ce n'è di tutti i colori, razze arricciate come
il parigino, che ricorda certe signore spettinate dal coiffeur a
colpi di centinaia di euro. Tra i canarini da canto bravissimi i
tedeschi, va da sé, poi c'è l'Harzer Holler che canta a becco
chiuso. Anche gli spagnoli van forte, hanno melodie originalissime,
sono più “enduendadi” di Garcia Lorca (leggere Il
duende, meravigliosa lezione
sulla creatività).
Richiedono
cure, come tutte le cose essenziali e delicate: sul fondo della
gabbia si cambia la carta di giornale tutti i giorni (fa bene anche
alla lettura, in declino in Italia); si nutrono a dovere con il
«pastoncino», si tiene la gabbia in luoghi adeguati. Loro cantano
per amore o per rabbia, perché uomini e animali non dovrebbero star
mai rinchiusi. Sono tempi sbandati, da miniera, e tutto serve a
sopravvivere, anche il paradosso del canarino. Non scartiamo nulla e
nessuno, per sperare.
«Chi
non trova il paradiso quaggiù non lo troverà neanche in cielo -
diceva Emily Dickinson - Gli angeli stanno nella casa accanto alla
nostra ovunque noi siamo». Ne L'esistenza degli angeli
(il Melangolo), si ricorda la Lettera agli ebrei:
«Non dimenticate l'ospitalità: perché alcuni praticandola, senza
saperlo, hanno ospitato angeli».
"La Stampa", 2 luglio 2013
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