4.4.14

Amicizie. Paul Nizan e Jean Paul Sartre (Carla Pasquinelli)

Chi ha detto che è facile essere amici a vent'anni?
Paul Nizan
Nel 1960 esce da Maspero un libro introvabile, sconosciuto ai più, Aden Arabie di Paul Nizan. fatto ripubblicare da Sartre, suo vecchio amico, per farci conoscere - come scriverà nella prefazione che l'accompagna - «la voce esile e gelida di Nizan, la voce senza domani della morte e dell'eternità». Quella voce che trent'anni prima aveva fatto scandalo, conquistandosi l'ostilità e l'incomprensione dei suoi stessi amici, per avere urlato in faccia a tutti la sua disperazione e la sua rabbia. «Avevo vent'anni. Non permetterò mai a nessuno di dire che è la più bella età della vita».
E' qui, a questo inizio folgorante con cui si apre Aden Arabie, che Sartre sente il bisogno di tornare per ritrovare una amicizia che Nizan aveva in qualche modo interrotto, prima andandosene ad Aden e poi scrivendo quel libro che irrideva a tutto quello che erano stati e in cui avevano creduto, Parigi, la filosofia, l'École Normale. Tutto quello di cui si era alimentata la loro amicizia, quando tra di loro si chiamavano i «piccoli compagni», ed erano inseparabili.
Di quel periodo parla distesamente Simone de Beauvoir, che li conobbe allora. Allievi dell'École Normale «non si mescolavano con nessuno, assistevano soltanto ad alcune lezioni eccezionali, e si sedevano lontano dagli altri». Distanti e inaccessibili, forse anche un po' antipatici, «avevano una cattiva fama», ma il loro fascino doveva essere irresistibile se la giovane Simone farà di tutto per conoscerli e se per riuscirci dovrà fare amicizia con un loro compagno, Herbaud, che però, prima di presentarglieli, per un bel po' di tempo, quando è in compagnia di Sartre e di Nizan, fa finta di non conoscerla.
Di Nizan Simone de Beauvoir non parla molto nei suoi Memoires, in genere così ricchi di divagazioni e di particolari inessenziali, e quelle poche volte lo fa con un po' di imbarazzo. Del resto lo riconosce lei stessa, Nizan la intimidiva, «dietro i grossi occhiali di tartaruga il suo sguardo mi dava molta soggezione», scrive e più in là aggiunge: «provavo una certa difficoltà a parlargli, a causa della sua aria vagamente canzonatoria». Ne viene fuori un personaggio umorale, stravagante, serio e irriverente, che amava scandalizzare, mentre «rosicchiandosi le unghie emetteva profezie e minacce sibilline». Più drammatica ed eroica è invece l'immagine che ce ne ha lasciato Sartre. Un adolescente taciturno, capace di stare giorni e giorni senza parlargli, ossessionato dalla paura della morte, soggetto a crisi periodiche e a salti di umore, «così era Nizan, calmo e perfido, affascinante; così io lo amavo».
A legarlo a lui era anche una forte somiglianza fisica, dovuta a uno stesso difetto. «Era strabico come me, ma in senso inverso, cioè gradevolmente». Vi scherzavano sopra e spesso si divertivano a passare l'uno per l'altro.
Questi scherzi accrescevano un'intesa fatta di complicità irriverente e di una giovanile arroganza che li portava a giudicare severamente tutto e tutti. Avevano un loro linguaggio, «un gergo intellettuale come se lo costruiscono tutti gli studenti», fatto di allusioni letterarie, di giochi di parole, di citazioni colte. Passavano giornate intere a camminare per Parigi «Parigi fu il nostro legame, ci amavamo attraverso le folle di questa città grigia, sotto i cieli leggeri delle sue primavere» - per poi esausti tornare a parlare, per ore, per notti intere, a ricercare nell'altro la «propria immagine infedele» e ritrovarvi riflesse le proprie ambizioni e la misura del proprio destino. Con una sola differenza, mentre Sartre «aveva la certezza di essere un eletto; Nizan si domandava spesso se lui non fosse invece un dannato».
A questa identificazione totale Nizan metterà bruscamente fine partendo per Aden, e restandoci un anno. Una voltatornato si sposa, mette su famiglia e si iscrive al Partito comunista, poi, dopo cinque anni, pubblica Aden Arabie. Per Sartre sarà una vera mazzata. A sconvolgerlo non è solo il libro ma tutto quello che lo aveva preceduto e accompagnato, ovvero il matrimonio e la militanza nel Partito comunista. Quello che gli riesce difficile anzi impossibile accettare è che Nizan sia diverso da lui, che possa fare e desiderare delle cose verso cui lui non prova la minima attrazione o che addirittura lo scandalizzano, come l'idea stessa di sposarsi, quando per lui il celibato resterà sempre «una regola di vita, un principio morale».
Jean Paul Sartre
E' la natura stessa della loro amicizia, con la sua fusionalità tirannica, a non permettergli di riconoscere in Nizan una persona distinta e separata da lui, perché questo potrebbe significarne la fine. L'economia del loro rapporto è tale che ogni tentativo di differenziazione da parte di uno dei due rischia di essere sentito dall'altro come un tradimento o comunque come una minaccia di abbandono. La sua reazione sarà difensiva, per non perderlo minimizza la portata delle scelte compiute dall'amico - l'adesione al Partito comunista sarà solo una stravaganza da dandy così «come portare il monocolo».
Non diversamente, per non avvertire la distanza che quel viaggio e quel libro avevano messo tra di loro, Sartre non li prese sul serio, giudicando Aden Arabie alla stregua di «un pamphlet disinvolto, un turbine di parole leggere». Molto saggiamente Simone de Beauvoir noterà come «con l'ostinazione stordita della giovinezza, invece di rivedere alla luce di quel pamphlet l'idea che si era fatta di Nizan, Sartre preferì pensare che il suo piccolo compagno aveva ceduto alla letteratura». Ma Sartre non poteva permettersi di fare altrimenti. Non poteva rivedere l'idea che si era fatta di Nizan perché questa era speculare a quella che si era fatta di se stesso. Ritornare su quell'idea avrebbe significato non solo mettere a rischio quel rapporto di complicità e di identificazione reciproca che lo aveva legato a lui e che costituiva il cemento della loro amicizia, ma avrebbe voluto dire mettersi in discussione e dovere forse rinunciare a una fetta cospicua della propria identità.
Ma cosa c'era in Aden Arabie di così minaccioso? Perché prenderlo alla lettera avrebbe dovuto portare Sartre a rompere con Nizan?
Del libro di Nizan si possono dare valutazioni diverse, può piacere moltissimo ma può anche costituire motivo di forte irritazione. Gli adolescenti degli anni sessanta, per i quali in fondo Sartre lo aveva fatto ristampare, vi si riconobbero e lo adottarono. Nizan parlava loro del mondo, della lotta di classe, dello sfruttamento, del colonialismo, senza rinunciare a se stesso, mettendoci dentro la sua ansia di vivere, la sua paura della morte, il suo orrore per la borghesia e l'Ordine.
Quello che Sartre non poté all'epoca mandar giù era che dentro quella borghesia fatta di impiegati, di militari, di commercianti, di affaristi, di mercanti di armi, dentro quella borghesia che faceva orrore a entrambi, Nizan ci aveva messo anche lui, assieme ai loro compagni («degli adolescenti affaticati da anni di liceo, corrotti dagli studi umanistici, dalla morale e dalla cucina borghese»), all'École Normale(oggetto comico e più spesso odioso, presieduta da un vecchietto patriota, ipocrita e potente che rispettava i militari»). e ai loro professori («cani da guardia del vocabolario»).
Niente era stato risparmiato: Parigi, la Francia, il loro futuro, il loro stesso passato. «Ne restai stupidamente addolorato - scriverà Sartre più tardi – lui offuscava i miei ricordi». Se dunque ignorarlo era quasi una questione di sopravvivenza, una maniera per salvare la propria identità minacciata da tanta furia iconoclasta, c'è comunque un'altra ragione, forse più decisiva ancora, per temerlo. Aden Arabie non è un libro qualunque, è la storia dì un viaggio e di un ritorno attraverso cui tutto cambia, a cominciare dal protagonista, un adolescente in fuga - «il primo movimento della paura è di fuggire» - che decide di fare ritorno quando si rende conto che «fuggire significa solo rinunciare a guardare da vicino il mondo da cui si fugge». Aden Arabie è la storia di un viaggio iniziatico al termine del quale si diventa adulti.
Rifiutata la carta dell'esotismo - all'epoca feticcio letterario ancora molto frequentato - e quella dell'avventura - Nizan avrà sempre orrore per i viaggi - Aden è solo un detour, una strada più lunga che gli ha permesso di affrontare la paura di crescere. Per uno educato, come lui e come tutta la sua generazione, all'austero e irriverente precetto di Alain «dire di no», crescere equivale a dire di sì. Ed è proprio questo che Sartre non vuole: dire di sì, assumersi degli impegni e rassegnarsi a passare all'«età della ragione». Crescere resterà per lungo tempo per lui un passaggio bloccato.
Da allora si videro poco, forse per evitare una rottura a cui ormai le loro vite così diverse sembravano doverli fatalmente condurre. Nizan morirà in guerra. Poco prima di rimanere ucciso da una pallottola alla nuca, fa in tempo a dare le dimissioni dal Partito comunista, per protestare contro la posizione assunta dai comunisti francesi all'indomani del patto tedesco-sovietico. Un gesto che non gli verrà perdonato neppure dopo morto; nel dopoguerra il Partito comunista mette su una feroce campagna diffamatoria nei suoi confronti, mentre le sue opere diventano introvabili.
E' a questo punto che Sartre decide di intervenire per riscattarne la memoria. Sottraendolo al silenzio in cui era stato confinato, fa ripubblicare Aden Arabie e scrive quella lunga prefazione che resta tra le sue cose più belle.
E' il 1960 e ormai anche Sartre è cambiato dai tempi della loro amicizia. E' cambiata la sua posizione politica - lo troviamo a fianco dei comunisti di cui ama definirsi «compagno di strada», in verità più guardando al Partito comunista italiano che a quello francese - ed è cambiata la sua filosofia, che ormai parla di impegno e di marxismo. Ci sono voluti vent'anni, una guerra mondiale e la morte di Nizan perché anche Sartre potesse finalmente compiere quel tragitto che lo aveva separato dall'amico, abbandonando una volta per tutte «la bell'epoca del rifiuto». Ormai l'ultracinquantenne Sartre e il trentenne Nizan la pensano quasi allo stesso modo, condividono quelle stesse idee che un tempo, li avevano separati.
Ma la prefazione ad Aden Arabie, invece di essere l'epilogo della loro storia, in realtà apre un nuovo capitolo, quello decisivo, di cui Sartre è protagonista ed esegeta a un tempo. Nizan è ormai nelle sue mani, l'immagine che resterà di lui non è quella che ci viene dai suoi libri ma è quella che Sartre ci ha lasciato, dopo averlo assimilato a sé. Attraverso la scrittura Sartre recupera, e questa volta per sempre, la loro amicizia. Rievocarla gli serve a costruirla, riprendendosi con le parole quella complicità che Nizan con la sua fuga ad Aden gli aveva sottratto. Parlare di lui è l'unica maniera che gli resta per ritrovare quel rapporto fusionale che la vita aveva interrotto e che ora la morte gli restituisce.
Come un amante tradito passa il suo tempo a ricostruire i movimenti affettivi dell'amico, a giustificare le sue intemperanze, a cercare di indovinarne le ragioni, a sentirsi inutilmente colpevole per non averle sapute decifrare in tempo, a rimproverarsi per non essere stato capace, di fronte alle sue collere mute, che di pensare: «che carattere di merda».
Invece di essere una forma di elaborazione del lutto attraverso cui potersi finalmente distaccare dall'amico morto, trasformandolo in ricordo, la prefazione gli dà modo di rendere indelebile, complice la scrittura, una amicizia che la morte ha messo a sua disposizione.
Sartre non è comunque nuovo a questo genere di operazioni. Farà la stessa cosa prima con Camus e poi con Merleau-Ponty, gli altri due amici con cui romperà bruscamente per un improvviso dissenso politico e forse per qualche inespresso malinteso personale - e che poi moriranno prima di poter giungere a una riconciliazione. Anche in queste due occasioni Sartre scriverà un articolo per ognuno di loro, affidando alla scrittura un ordine che gli permette, con la complicità della morte, di ritrovare quella intesa che l'altro, con la sua scandalosa diversità, aveva cercato di negare.
Uno strano destino (questo delle amicizie maschili di Sartre, che non a caso ha sempre preferito le donne per amiche, forse perché il rapporto con loro si carica di una dose di ambiguità sufficiente a stemperare e nascondere, sdrammatizzandola, quella fusionalità tirannica che sembra essere la cifra dominante della sua maniera di vivere l'amicizia. Un destino che ha tutta l'aria di una coazione a ripetere, fatta di complicità e di dipendenza e che si traduce in una resistenza cieca a ogni forma di distacco, vissuta ogni volta come una catastrofe irreparabile.
In genere sono proprio queste amicizie a venir definite esemplari. E invece tanto più pure e disinteressate appaiono all'esterno, tanto maggiore e implacabile è la dipendenza che le consuma al loro interno. Molto spesso stanno al posto di qualcos'altro, di un bisogno irrisolto, di una paura inconfessata o di un qualsiasi stato di ansia o di angoscia che si cerca di risolvere magicamente attraverso il rapporto con un'altra persona.
Sono peraltro le amicizie più coinvolgenti, le più drammatiche, come quelle nate nell'adolescenza, con la loro tensione estrema, i loro eccessi e la sovrabbondanza delle loro richieste. La loro cifra è essenzialmente maschile, anche se si può dare tra donne. Attraverso di esse si compie una educazione sentimentale che si proietta tutta al di fuori di sé grazie a un altro, la cui assidua presenza soddisfa a quel bisogno di conferme e di riconoscimento che non si è ancora preparati a ricevere dal mondo.

Non so se in questi casi si possa continuare a parlare di amicizia, il farlo può essere solo una convenzione rassicurante, così come lo sono spesso i sentimenti, che coprono alchimie più complesse. Ma nonostante la loro patologia, c'è in queste amicizie un che di irriducibile, qualcosa che sfugge all'interpretazione, uno scarto residuale, che nemmeno il rigore severo della psicoanalisi è riuscito a decifrare. E' questo scarto, in cui si consuma l'incontro tra la necessità del bisogno e la contingenza del desiderio, tra la esigenza impellente di avere una relazione affettiva con qualcuno e la scelta di quel qualcuno, che riscatta il senso stesso dell'amicizia e la sua fatalità e che le fa apparire, forse non del tutto a torto, il modello stesso dell'amicizia.

"il manifesto", 4 settembre 1990

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