Chi ha detto che è facile essere amici a vent'anni?
Paul Nizan |
Nel 1960 esce da Maspero
un libro introvabile, sconosciuto ai più, Aden Arabie di Paul
Nizan. fatto ripubblicare da Sartre, suo vecchio amico, per farci
conoscere - come scriverà nella prefazione che l'accompagna - «la
voce esile e gelida di Nizan, la voce senza domani della morte e
dell'eternità». Quella voce che trent'anni prima aveva fatto
scandalo, conquistandosi l'ostilità e l'incomprensione dei suoi
stessi amici, per avere urlato in faccia a tutti la sua disperazione
e la sua rabbia. «Avevo vent'anni. Non permetterò mai a
nessuno di dire che è la più bella età della vita».
E' qui, a questo inizio
folgorante con cui si apre Aden Arabie, che Sartre sente il
bisogno di tornare per ritrovare una amicizia che Nizan aveva in
qualche modo interrotto, prima andandosene ad Aden e poi scrivendo
quel libro che irrideva a tutto quello che erano stati e in cui
avevano creduto, Parigi, la filosofia, l'École Normale. Tutto quello
di cui si era alimentata la loro amicizia, quando tra di loro si
chiamavano i «piccoli compagni», ed erano inseparabili.
Di quel periodo parla
distesamente Simone de Beauvoir, che li conobbe allora. Allievi
dell'École Normale «non si mescolavano con nessuno, assistevano
soltanto ad alcune lezioni eccezionali, e si sedevano lontano dagli
altri». Distanti e inaccessibili, forse anche un po' antipatici,
«avevano una cattiva fama», ma il loro fascino doveva essere
irresistibile se la giovane Simone farà di tutto per conoscerli e se
per riuscirci dovrà fare amicizia con un loro compagno, Herbaud, che
però, prima di presentarglieli, per un bel po' di tempo, quando è
in compagnia di Sartre e di Nizan, fa finta di non conoscerla.
Di Nizan Simone de
Beauvoir non parla molto nei suoi Memoires, in genere così
ricchi di divagazioni e di particolari inessenziali, e quelle poche
volte lo fa con un po' di imbarazzo. Del resto lo riconosce lei
stessa, Nizan la intimidiva, «dietro i grossi occhiali di tartaruga
il suo sguardo mi dava molta soggezione», scrive e più in là
aggiunge: «provavo una certa difficoltà a parlargli, a causa della
sua aria vagamente canzonatoria». Ne viene fuori un personaggio
umorale, stravagante, serio e irriverente, che amava scandalizzare,
mentre «rosicchiandosi le unghie emetteva profezie e minacce
sibilline». Più drammatica ed eroica è invece l'immagine che ce ne
ha lasciato Sartre. Un adolescente taciturno, capace di stare giorni
e giorni senza parlargli, ossessionato dalla paura della morte,
soggetto a crisi periodiche e a salti di umore, «così era Nizan,
calmo e perfido, affascinante; così io lo amavo».
A legarlo a lui era anche
una forte somiglianza fisica, dovuta a uno stesso difetto. «Era
strabico come me, ma in senso inverso, cioè gradevolmente». Vi
scherzavano sopra e spesso si divertivano a passare l'uno per
l'altro.
Questi scherzi
accrescevano un'intesa fatta di complicità irriverente e di una
giovanile arroganza che li portava a giudicare severamente tutto e
tutti. Avevano un loro linguaggio, «un gergo intellettuale come se
lo costruiscono tutti gli studenti», fatto di allusioni letterarie,
di giochi di parole, di citazioni colte. Passavano giornate intere a
camminare per Parigi «Parigi fu il nostro legame, ci amavamo
attraverso le folle di questa città grigia, sotto i cieli leggeri
delle sue primavere» - per poi esausti tornare a parlare, per ore,
per notti intere, a ricercare nell'altro la «propria immagine
infedele» e ritrovarvi riflesse le proprie ambizioni e la misura del
proprio destino. Con una sola differenza, mentre Sartre «aveva la
certezza di essere un eletto; Nizan si domandava spesso se lui non
fosse invece un dannato».
A questa identificazione
totale Nizan metterà bruscamente fine partendo per Aden, e
restandoci un anno. Una voltatornato si sposa, mette su famiglia e si
iscrive al Partito comunista, poi, dopo cinque anni, pubblica Aden
Arabie. Per Sartre sarà una vera mazzata. A sconvolgerlo non è
solo il libro ma tutto quello che lo aveva preceduto e accompagnato,
ovvero il matrimonio e la militanza nel Partito comunista. Quello che
gli riesce difficile anzi impossibile accettare è che Nizan sia
diverso da lui, che possa fare e desiderare delle cose verso cui lui
non prova la minima attrazione o che addirittura lo scandalizzano,
come l'idea stessa di sposarsi, quando per lui il celibato resterà
sempre «una regola di vita, un principio morale».
Jean Paul Sartre |
E' la natura stessa della
loro amicizia, con la sua fusionalità tirannica, a non permettergli
di riconoscere in Nizan una persona distinta e separata da lui,
perché questo potrebbe significarne la fine. L'economia del loro
rapporto è tale che ogni tentativo di differenziazione da parte di
uno dei due rischia di essere sentito dall'altro come un tradimento o
comunque come una minaccia di abbandono. La sua reazione sarà
difensiva, per non perderlo minimizza la portata delle scelte
compiute dall'amico - l'adesione al Partito comunista sarà solo una
stravaganza da dandy così «come portare il monocolo».
Non diversamente, per non
avvertire la distanza che quel viaggio e quel libro avevano messo tra
di loro, Sartre non li prese sul serio, giudicando Aden Arabie
alla stregua di «un pamphlet disinvolto, un turbine di parole
leggere». Molto saggiamente Simone de Beauvoir noterà come «con
l'ostinazione stordita della giovinezza, invece di rivedere alla luce
di quel pamphlet l'idea che si era fatta di Nizan, Sartre preferì
pensare che il suo piccolo compagno aveva ceduto alla letteratura».
Ma Sartre non poteva permettersi di fare altrimenti. Non poteva
rivedere l'idea che si era fatta di Nizan perché questa era
speculare a quella che si era fatta di se stesso. Ritornare su
quell'idea avrebbe significato non solo mettere a rischio quel
rapporto di complicità e di identificazione reciproca che lo aveva
legato a lui e che costituiva il cemento della loro amicizia, ma
avrebbe voluto dire mettersi in discussione e dovere forse rinunciare
a una fetta cospicua della propria identità.
Ma cosa c'era in Aden
Arabie di così minaccioso? Perché prenderlo alla lettera
avrebbe dovuto portare Sartre a rompere con Nizan?
Del libro di Nizan si
possono dare valutazioni diverse, può piacere moltissimo ma può
anche costituire motivo di forte irritazione. Gli adolescenti
degli anni sessanta, per i quali in fondo Sartre lo aveva fatto
ristampare, vi si riconobbero e lo adottarono. Nizan parlava loro del
mondo, della lotta di classe, dello sfruttamento, del colonialismo,
senza rinunciare a se stesso, mettendoci dentro la sua ansia di
vivere, la sua paura della morte, il suo orrore per la borghesia e
l'Ordine.
Quello che Sartre non
poté all'epoca mandar giù era che dentro quella borghesia fatta di
impiegati, di militari, di commercianti, di affaristi, di mercanti di
armi, dentro quella borghesia che faceva orrore a entrambi, Nizan ci
aveva messo anche lui, assieme ai loro compagni («degli adolescenti
affaticati da anni di liceo, corrotti dagli studi umanistici, dalla
morale e dalla cucina borghese»), all'École Normale(oggetto comico
e più spesso odioso, presieduta da un vecchietto patriota, ipocrita
e potente che rispettava i militari»). e ai loro professori («cani
da guardia del vocabolario»).
Niente era stato
risparmiato: Parigi, la Francia, il loro futuro, il loro stesso
passato. «Ne restai stupidamente addolorato - scriverà Sartre più
tardi – lui offuscava i miei ricordi». Se dunque ignorarlo era
quasi una questione di sopravvivenza, una maniera per salvare la
propria identità minacciata da tanta furia iconoclasta, c'è
comunque un'altra ragione, forse più decisiva ancora, per temerlo.
Aden Arabie non è un libro qualunque, è la storia dì un
viaggio e di un ritorno attraverso cui tutto cambia, a cominciare dal
protagonista, un adolescente in fuga - «il primo movimento della
paura è di fuggire» - che decide di fare ritorno quando si rende
conto che «fuggire significa solo rinunciare a guardare da vicino il
mondo da cui si fugge». Aden Arabie è la storia di un viaggio
iniziatico al termine del quale si diventa adulti.
Rifiutata la carta
dell'esotismo - all'epoca feticcio letterario ancora molto
frequentato - e quella dell'avventura - Nizan avrà sempre orrore
per i viaggi - Aden è solo un detour, una strada più lunga
che gli ha permesso di affrontare la paura di crescere. Per uno
educato, come lui e come tutta la sua generazione, all'austero e
irriverente precetto di Alain «dire di no», crescere equivale a
dire di sì. Ed è proprio questo che Sartre non vuole: dire di sì,
assumersi degli impegni e rassegnarsi a passare all'«età della
ragione». Crescere resterà per lungo tempo per lui un passaggio
bloccato.
Da allora si videro poco,
forse per evitare una rottura a cui ormai le loro vite così diverse
sembravano doverli fatalmente condurre. Nizan morirà in guerra. Poco
prima di rimanere ucciso da una pallottola alla nuca, fa in tempo a
dare le dimissioni dal Partito comunista, per protestare contro la
posizione assunta dai comunisti francesi all'indomani del patto
tedesco-sovietico. Un gesto che non gli verrà perdonato neppure dopo
morto; nel dopoguerra il Partito comunista mette su una feroce
campagna diffamatoria nei suoi confronti, mentre le sue opere
diventano introvabili.
E' a questo punto che
Sartre decide di intervenire per riscattarne la memoria. Sottraendolo
al silenzio in cui era stato confinato, fa ripubblicare Aden
Arabie e scrive quella lunga prefazione che resta tra le sue cose
più belle.
E' il 1960 e ormai anche
Sartre è cambiato dai tempi della loro amicizia. E' cambiata la sua
posizione politica - lo troviamo a fianco dei comunisti di cui ama
definirsi «compagno di strada», in verità più guardando al
Partito comunista italiano che a quello francese - ed è cambiata la
sua filosofia, che ormai parla di impegno e di marxismo. Ci sono
voluti vent'anni, una guerra mondiale e la morte di Nizan perché
anche Sartre potesse finalmente compiere quel tragitto che lo aveva
separato dall'amico, abbandonando una volta per tutte «la bell'epoca
del rifiuto». Ormai l'ultracinquantenne Sartre e il trentenne Nizan
la pensano quasi allo stesso modo, condividono quelle stesse idee che
un tempo, li avevano separati.
Ma la prefazione ad Aden
Arabie, invece di essere l'epilogo della loro storia, in realtà
apre un nuovo capitolo, quello decisivo, di cui Sartre è
protagonista ed esegeta a un tempo. Nizan è ormai nelle sue mani,
l'immagine che resterà di lui non è quella che ci viene dai suoi
libri ma è quella che Sartre ci ha lasciato, dopo averlo assimilato
a sé. Attraverso la scrittura Sartre recupera, e questa volta per
sempre, la loro amicizia. Rievocarla gli serve a costruirla,
riprendendosi con le parole quella complicità che Nizan con la sua
fuga ad Aden gli aveva sottratto. Parlare di lui è l'unica maniera
che gli resta per ritrovare quel rapporto fusionale che la vita aveva
interrotto e che ora la morte gli restituisce.
Come un amante tradito
passa il suo tempo a ricostruire i movimenti affettivi dell'amico, a
giustificare le sue intemperanze, a cercare di indovinarne le
ragioni, a sentirsi inutilmente colpevole per non averle sapute
decifrare in tempo, a rimproverarsi per non essere stato capace, di
fronte alle sue collere mute, che di pensare: «che carattere di
merda».
Invece di essere una
forma di elaborazione del lutto attraverso cui potersi finalmente
distaccare dall'amico morto, trasformandolo in ricordo, la prefazione
gli dà modo di rendere indelebile, complice la scrittura, una
amicizia che la morte ha messo a sua disposizione.
Sartre non è comunque
nuovo a questo genere di operazioni. Farà la stessa cosa prima con
Camus e poi con Merleau-Ponty, gli altri due amici con cui romperà
bruscamente per un improvviso dissenso politico e forse per qualche
inespresso malinteso personale - e che poi moriranno prima di poter
giungere a una riconciliazione. Anche in queste due occasioni Sartre
scriverà un articolo per ognuno di loro, affidando alla scrittura un
ordine che gli permette, con la complicità della morte, di ritrovare
quella intesa che l'altro, con la sua scandalosa diversità, aveva
cercato di negare.
Uno strano destino
(questo delle amicizie maschili di Sartre, che non a caso ha sempre
preferito le donne per amiche, forse perché il rapporto con loro si
carica di una dose di ambiguità sufficiente a stemperare e
nascondere, sdrammatizzandola, quella fusionalità tirannica che
sembra essere la cifra dominante della sua maniera di vivere
l'amicizia. Un destino che ha tutta l'aria di una coazione a
ripetere, fatta di complicità e di dipendenza e che si traduce in
una resistenza cieca a ogni forma di distacco, vissuta ogni volta
come una catastrofe irreparabile.
In genere sono proprio
queste amicizie a venir definite esemplari. E invece tanto più pure
e disinteressate appaiono all'esterno, tanto maggiore e implacabile è
la dipendenza che le consuma al loro interno. Molto spesso stanno al
posto di qualcos'altro, di un bisogno irrisolto, di una paura
inconfessata o di un qualsiasi stato di ansia o di angoscia che si
cerca di risolvere magicamente attraverso il rapporto con un'altra
persona.
Sono peraltro le amicizie
più coinvolgenti, le più drammatiche, come quelle nate
nell'adolescenza, con la loro tensione estrema, i loro eccessi e la
sovrabbondanza delle loro richieste. La loro cifra è essenzialmente
maschile, anche se si può dare tra donne. Attraverso di esse si
compie una educazione sentimentale che si proietta tutta al di fuori
di sé grazie a un altro, la cui assidua presenza soddisfa a quel
bisogno di conferme e di riconoscimento che non si è ancora
preparati a ricevere dal mondo.
Non so se in questi casi
si possa continuare a parlare di amicizia, il farlo può essere solo
una convenzione rassicurante, così come lo sono spesso i sentimenti,
che coprono alchimie più complesse. Ma nonostante la loro patologia,
c'è in queste amicizie un che di irriducibile, qualcosa che sfugge
all'interpretazione, uno scarto residuale, che nemmeno il rigore
severo della psicoanalisi è riuscito a decifrare. E' questo scarto,
in cui si consuma l'incontro tra la necessità del bisogno e la
contingenza del desiderio, tra la esigenza impellente di avere una
relazione affettiva con qualcuno e la scelta di quel qualcuno, che
riscatta il senso stesso dell'amicizia e la sua fatalità e che le fa
apparire, forse non del tutto a torto, il modello stesso
dell'amicizia.
"il manifesto", 4 settembre 1990
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