Da uno “speciale” di
“Repubblica” per i 40 anni dalla morte di Sigmund Freud, un
contributo di Ida Magli, che a me sembra esemplare per la perspicuità
del concetto e del dettato. (S.L.L.)
Sigmund Freud con la figlia Anna e il nipotino |
Quello che si rimprovera
maggiormente a Freud, oggi, è di aver esteso a tutte le società
quei tratti psicologici distintivi che viceversa egli non aveva
potuto verificare se non in Europa, e più particolarmente nella
società borghese della Vienna del suo tempo. Fino a che punto è
legittimo questo rimprovero? Certamente, messe alla prova, molte
delle affermazioni di Freud non hanno trovato riscontro in ambiti
diversi da quello in cui erano nate. Ma le sue intuizioni hanno avuto
una tale forza di penetrazione che praticamente non è più possibile
prescinderne in tutte le scienze umane, e soprattutto
nell'antropologia. Un'antropologia che oggi non facesse riferimento,
per esempio, anche alla cosiddetta « personalità di base », e
quindi alle implicazioni psicologiche dei comportamenti culturali,
sarebbe impensabile. Con Freud. in altri termini, la struttura
profonda dell'individuo ha fornito elementi fondamentali per la
comprensione della struttura di una civiltà. E questo malgrado il
fatto che proprio le opere di Freud più dichiaratamente ispirate
alte comprensione della storia della cultura, proprio quelle in cui
egli stesso fa uso di materiale etnologico, come Totem e Tabù,
Mosè e il monoteismo, ecc., siano quelle che maggiormente
prestano il fianco alla critica.
Usanze
incomprensibili
Dov'è il punto di forza,
dunque, del pensiero freudiano? Credo che non possano esservi dubbi
nella risposta. Freud ha insegnato all'etnologo, all' antropologo,
allo storico delle religioni che esiste sempre un mondo nascosto
dietro le apparenze, e ohe qualsiasi comportamento, anche quello che
sembra più incoerente, più assurdo, più inutile, ha una sua
logica, un suo senso. Si è trattato di un insegnamento fondamentale
proprio per le discipline che si trovavano a contatto con usi e
costumi spesso incomprensibili per il ricercatore europeo: per
l'etnologo e l'antropologo che, di fronte a comportamenti
apparentemente abnormi, si abbandonavano a giudizi dettati dai loro
.preconcetti, o, nel migliore dei casi, si limitavano a descriverli
come fatti curiosi e privi d'importanza. La lezione fondamentale di
Freud è stata dunque quella di rendere l'antropologo estremamente
circospetto nel definire e nel giudicare, suggerendogli di non
tralasciare nella sua osservazione neanche i più piccoli
particolari, con la convinzione, che tutto in una cultura ha un
senso, una funzione, uno scopo. Si è trattato, dunque, soprattutto
di una profonda lezione di metodo, una lezione scientifica la cui
importanza non può più essere cancellata, anche se molte delle
ipotesi specifiche di Freud sono state via via superate, o si sono
dimostrate false una volta messe a confronto con il più vasto
materiale etnologico. Basterebbe pensare, per esempio, all'influenza
che ha avuto il metodo dell'Interpretazione dei sogni » per
l'analisi e la comprensione dei miti. Senza dubbio un mito ha molti
altri significati oltre quelli che gli ha attribuito Freud: ma quello
che rimane incancellabile è che la sua scienza dei sogni ha permesso
agli antropologi di comprendere che il contenuto manifesto di un mito
o di un simbolo copre sempre un contenuto latente che non affiora,
alla coscienza e che va cercato al di là delle apparenze.
Gli esempi di questo
genere si potrebbero moltipllcare: dall'importanza che ha avuto, per
lo studio delle strutture di parentela, l'accenta posto da Freud sul
divieto dell'incesto e sui complessi di Edipo agli arditi
parallelismi da lui proposti fra rituali e nevrosi. Si potrebbe
ancora accennare a tutta la cosiddetta scuola di
«personalità-cultura», che ha avuto in Ruth Benedict, in Margaret
Mead, in Ralph Linton e in tutti gli altri suoi esponenti,
antropologi profondamente influenzati dalie teorie psico-analitiche e
che hanno tentato di verificarne la validità studiando soprattutto i
primi anni di vita del bambino nelle società «primitive» e le
relative tecniche di allevamento. Si giunge proprio attraverso questa
strada, all'interrogativo fondamentale: sono le istituzioni culturali
a formare la personalità di base degli individui, o viceversa, è la
forza istintuale della psiche umana (che per Fresai è uguale
dovunque) a dare origine ai costumi delle varie culture?
Come è noto, le risposte
qui sono diverse, dato che gli psicoanalisti ortodossi non possono
rinunciare a quello che per loro è un asserto irrefutabile,
l'identità della struttura psichica, mentre gli antropologi sono
portati a mettere l'accento sulla diversità delle varie culture e
sull'influenza della cultura sull'individuo. Ma quello che conta non
è la possibilità di dare una risposta definitiva a questi
interrogativi, ma il fatto indubitabile della ricchezza di
stimolazioni, di suggerimenti, di proposte che il pensiero di Freud
ha portato al centro stesso della ricerca.
C'è un campo, però, nel
quale le critiche a Freud sono diventate sempre più aspre e che, in
questi ultimi anni, hanno trovato una vasta eco ad opera del
femminismo, e cioè le sue teorie sulla sessualità femminile. E'
indubbio che, fra i pazienti di Freud, molte furono donne e che i
suoi «Casi clinici, a partire da quello famoso, curato da
Breuer, di Anna O., presentano una serie di personaggi tipici di una
borghesia chiusa, silenziosa, accartocciata su se stessa, e in cui la
personalità femminile si dibatte nei limiti più angusti dei
rapporti familiari senza aperture e senza speranze. Cosa ha capito
Freud della tremenda solitudine di queste donne, della loro
impossibilità ad uscire e al tempo stesso a vivere nella prigione
della loro casa, nei legami strettissimi e soffocanti e tuttavia
irrinunciabili con padri, madri, mariti, anch'essi irrigiditi nelle
strutture di un «ruolo» concepito come l'unico comportamento
possibile? Certamente Freud era un nomo del suo tempo, anch'egli
frutto di una cultura che vedeva la famiglia come nucleo sociale
fondamentale, e il posto della donna completamente racchiuso in
questo nucleo. Eppure, quanto ha dovuto allontanarsi dai presupposti
sentimentali ed affettivi della società del suo tempo, da tutto ciò
che era ritenuto inalienabile e «sacro» nei saldi legami
costitutivi della famiglia, per riuscire a intravedere il nesso
strettissimo fra un braccio paralizzato e l'odio verso il proprio
padre, per intuire tutti gli aspetti negativi, di aggressività, di
gelosia, di rifiuto, da parte di quelle stesse donne che l'ideale
dell'epoca vedeva esclusivamente fissate nella dolcezza e nell'amore
filiale e materno?
Sessualità
femminile
Io credo ohe almeno in
questo, sia pure soltanto in questo, Freud abbia compiuto un passo
fondamentale nella comprensione dell'angoscia e della drammaticità
della vita delle donne. Le sue ipotesi sulla sessualità femminile
sono probabilmente incrinate alla base proprio perché egli dava per
scontate e ineluttabili determinate situazioni familiari; ed oggi,
proprio per tutto il lavoro di ricerca e di verifica che è stato
svolto dagli antropologi, sotto lo stintolo psicoanalitico, nel campo
psicopatologico fra culture diverse, si è arrivati alla conclusione
che anche la sintomatologia psichiatrica ha una sua «storicità». è
legata all'ambiente e alla cultura. Le «grandi isterie», così come
tanti altri fenomeni di fronte ai quali si è trovato Freud, sono
diventate più rare, ed hanno lasciato il posto a nevrosi e psicosi
dì altro tipo. Ma i personaggi femminili, che l'occhio acuto di
Freud analizzò freddamente, al di fuori di qualsiasi schema
sentimentalistico, rimangono un'appassionata e tragica testimonianza
di quale sia stata, e quale possa ancora essere, la vita delle donne
quando questa sia chiusa nel temibile e soffocante cerchio degli
«affetti» famigliari.
“la Repubblica”, 23
settembre 1979
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