13.4.14

Psicoanalisi e cultura. Freud fu nemico delle donne? (Ida Magli)

Da uno “speciale” di “Repubblica” per i 40 anni dalla morte di Sigmund Freud, un contributo di Ida Magli, che a me sembra esemplare per la perspicuità del concetto e del dettato. (S.L.L.)
Sigmund Freud con la figlia Anna e il nipotino
Quello che si rimprovera maggiormente a Freud, oggi, è di aver esteso a tutte le società quei tratti psicologici distintivi che viceversa egli non aveva potuto verificare se non in Europa, e più particolarmente nella società borghese della Vienna del suo tempo. Fino a che punto è legittimo questo rimprovero? Certamente, messe alla prova, molte delle affermazioni di Freud non hanno trovato riscontro in ambiti diversi da quello in cui erano nate. Ma le sue intuizioni hanno avuto una tale forza di penetrazione che praticamente non è più possibile prescinderne in tutte le scienze umane, e soprattutto nell'antropologia. Un'antropologia che oggi non facesse riferimento, per esempio, anche alla cosiddetta « personalità di base », e quindi alle implicazioni psicologiche dei comportamenti culturali, sarebbe impensabile. Con Freud. in altri termini, la struttura profonda dell'individuo ha fornito elementi fondamentali per la comprensione della struttura di una civiltà. E questo malgrado il fatto che proprio le opere di Freud più dichiaratamente ispirate alte comprensione della storia della cultura, proprio quelle in cui egli stesso fa uso di materiale etnologico, come Totem e Tabù, Mosè e il monoteismo, ecc., siano quelle che maggiormente prestano il fianco alla critica.

Usanze incomprensibili
Dov'è il punto di forza, dunque, del pensiero freudiano? Credo che non possano esservi dubbi nella risposta. Freud ha insegnato all'etnologo, all' antropologo, allo storico delle religioni che esiste sempre un mondo nascosto dietro le apparenze, e ohe qualsiasi comportamento, anche quello che sembra più incoerente, più assurdo, più inutile, ha una sua logica, un suo senso. Si è trattato di un insegnamento fondamentale proprio per le discipline che si trovavano a contatto con usi e costumi spesso incomprensibili per il ricercatore europeo: per l'etnologo e l'antropologo che, di fronte a comportamenti apparentemente abnormi, si abbandonavano a giudizi dettati dai loro .preconcetti, o, nel migliore dei casi, si limitavano a descriverli come fatti curiosi e privi d'importanza. La lezione fondamentale di Freud è stata dunque quella di rendere l'antropologo estremamente circospetto nel definire e nel giudicare, suggerendogli di non tralasciare nella sua osservazione neanche i più piccoli particolari, con la convinzione, che tutto in una cultura ha un senso, una funzione, uno scopo. Si è trattato, dunque, soprattutto di una profonda lezione di metodo, una lezione scientifica la cui importanza non può più essere cancellata, anche se molte delle ipotesi specifiche di Freud sono state via via superate, o si sono dimostrate false una volta messe a confronto con il più vasto materiale etnologico. Basterebbe pensare, per esempio, all'influenza che ha avuto il metodo dell'Interpretazione dei sogni » per l'analisi e la comprensione dei miti. Senza dubbio un mito ha molti altri significati oltre quelli che gli ha attribuito Freud: ma quello che rimane incancellabile è che la sua scienza dei sogni ha permesso agli antropologi di comprendere che il contenuto manifesto di un mito o di un simbolo copre sempre un contenuto latente che non affiora, alla coscienza e che va cercato al di là delle apparenze.
Gli esempi di questo genere si potrebbero moltipllcare: dall'importanza che ha avuto, per lo studio delle strutture di parentela, l'accenta posto da Freud sul divieto dell'incesto e sui complessi di Edipo agli arditi parallelismi da lui proposti fra rituali e nevrosi. Si potrebbe ancora accennare a tutta la cosiddetta scuola di «personalità-cultura», che ha avuto in Ruth Benedict, in Margaret Mead, in Ralph Linton e in tutti gli altri suoi esponenti, antropologi profondamente influenzati dalie teorie psico-analitiche e che hanno tentato di verificarne la validità studiando soprattutto i primi anni di vita del bambino nelle società «primitive» e le relative tecniche di allevamento. Si giunge proprio attraverso questa strada, all'interrogativo fondamentale: sono le istituzioni culturali a formare la personalità di base degli individui, o viceversa, è la forza istintuale della psiche umana (che per Fresai è uguale dovunque) a dare origine ai costumi delle varie culture?
Come è noto, le risposte qui sono diverse, dato che gli psicoanalisti ortodossi non possono rinunciare a quello che per loro è un asserto irrefutabile, l'identità della struttura psichica, mentre gli antropologi sono portati a mettere l'accento sulla diversità delle varie culture e sull'influenza della cultura sull'individuo. Ma quello che conta non è la possibilità di dare una risposta definitiva a questi interrogativi, ma il fatto indubitabile della ricchezza di stimolazioni, di suggerimenti, di proposte che il pensiero di Freud ha portato al centro stesso della ricerca.
C'è un campo, però, nel quale le critiche a Freud sono diventate sempre più aspre e che, in questi ultimi anni, hanno trovato una vasta eco ad opera del femminismo, e cioè le sue teorie sulla sessualità femminile. E' indubbio che, fra i pazienti di Freud, molte furono donne e che i suoi «Casi clinici, a partire da quello famoso, curato da Breuer, di Anna O., presentano una serie di personaggi tipici di una borghesia chiusa, silenziosa, accartocciata su se stessa, e in cui la personalità femminile si dibatte nei limiti più angusti dei rapporti familiari senza aperture e senza speranze. Cosa ha capito Freud della tremenda solitudine di queste donne, della loro impossibilità ad uscire e al tempo stesso a vivere nella prigione della loro casa, nei legami strettissimi e soffocanti e tuttavia irrinunciabili con padri, madri, mariti, anch'essi irrigiditi nelle strutture di un «ruolo» concepito come l'unico comportamento possibile? Certamente Freud era un nomo del suo tempo, anch'egli frutto di una cultura che vedeva la famiglia come nucleo sociale fondamentale, e il posto della donna completamente racchiuso in questo nucleo. Eppure, quanto ha dovuto allontanarsi dai presupposti sentimentali ed affettivi della società del suo tempo, da tutto ciò che era ritenuto inalienabile e «sacro» nei saldi legami costitutivi della famiglia, per riuscire a intravedere il nesso strettissimo fra un braccio paralizzato e l'odio verso il proprio padre, per intuire tutti gli aspetti negativi, di aggressività, di gelosia, di rifiuto, da parte di quelle stesse donne che l'ideale dell'epoca vedeva esclusivamente fissate nella dolcezza e nell'amore filiale e materno?

Sessualità femminile
Io credo ohe almeno in questo, sia pure soltanto in questo, Freud abbia compiuto un passo fondamentale nella comprensione dell'angoscia e della drammaticità della vita delle donne. Le sue ipotesi sulla sessualità femminile sono probabilmente incrinate alla base proprio perché egli dava per scontate e ineluttabili determinate situazioni familiari; ed oggi, proprio per tutto il lavoro di ricerca e di verifica che è stato svolto dagli antropologi, sotto lo stintolo psicoanalitico, nel campo psicopatologico fra culture diverse, si è arrivati alla conclusione che anche la sintomatologia psichiatrica ha una sua «storicità». è legata all'ambiente e alla cultura. Le «grandi isterie», così come tanti altri fenomeni di fronte ai quali si è trovato Freud, sono diventate più rare, ed hanno lasciato il posto a nevrosi e psicosi dì altro tipo. Ma i personaggi femminili, che l'occhio acuto di Freud analizzò freddamente, al di fuori di qualsiasi schema sentimentalistico, rimangono un'appassionata e tragica testimonianza di quale sia stata, e quale possa ancora essere, la vita delle donne quando questa sia chiusa nel temibile e soffocante cerchio degli «affetti» famigliari.


“la Repubblica”, 23 settembre 1979

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