Ci sono amici e compagni,
del Pd ma non solo, che si inalberano quando qualcuno propone il
ritorno alle preferenze per le elezioni politiche, compagni coerenti
che le vorrebbero eliminate in tutte le competizioni elettorali dove
sono tuttora presenti e, a loro avviso, inquinanti: elezioni dei
Consigli comunali e regionali, elezioni del Parlamento europeo.
Le loro obiezioni sono
forti e vanno dai costi della campagna elettorale, alle guerre
all'interno dello stesso partito o lista, alle opportunità che le
preferenze offrono alla corruzione e al voto di scambio, maggiori che
altri sistemi. Obiezioni forti, che li portano a dire che le liste
bloccate sono il meno peggio e che ai difetti delle liste bloccate si
può ovviare con le primarie che gli elettori dovrebbero pretendere
da tutti i raggruppamenti politici.
Si ragiona però come se
non ci fossero altre possibilità, se si escludono i collegi
uninominali a doppio turno o a turno unico che l'attuale destra
sembra aborrire.
Un'altra possibilità
invece c'è. E' il modello delle vecchie elezioni del Senato, che è
ancora in uso per l'elezione dei Consigli provinciali. In quel
modello non si sceglie in ogni collegio il candidato più votato
escludendo tutti gli altri, secondo il modello anglosassone o
francese tanto inviso a Berlusconi e ai suoi residui seguaci, ma,
dopo aver stabilito il numero dei seggi di ciascun partito o lista
(per il Senato si determinava su base regionale, ma si potrebbe farlo
anche a livello nazionale o di grandi circoscrizioni), li si
assegnava ai candidati che nel proprio collegio uninominale avessero
ottenuto le percentuali di voto più alte. Niente guerre intestine,
dunque, meno spazio alla corruzione, costi della campagna elettorale
assai ridotti.
Quel sistema aveva un
inconveniente: succedeva che un collegio avesse più di un senatore e
un altro nessuno; ma si può rimediarvi con opportuni meccanismi, per
esempio prevedendo un numero di eletti superiore al numero dei
collegi. Quel sistema aveva peraltro, tra i pregi maggiori, il legame
con il territorio in cui si era fatta la campagna elettorale e la
conoscenza dei suoi specifici problemi. Si tratta peraltro di un
meccanismo compatibile con molti tipi di legge elettorale, da quelle
che prevedono ampi premi di maggioranza e sbarramenti più o meno
alti a quelle proporzionali. E' adattissima per i partiti che
volessero selezionare i candidati con le primarie: si farebbero
primarie di collegio scegliendo di candidare il più votato.
Perché, allora, questa
possibilità non è neppure presa in considerazione? Non sarà che in
un Parlamento di nominati e nominatori, riportare la scelta dei
rappresentanti in capo al cittadino elettore non conviene a nessuno?
stato fb 25-4-14
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