4.4.14

Ida Magli. Alla fine cadde in fallo (Carlo Formenti, 1989)

A Ida Magli, antropologa documentata, spesso interprete originale e anticonformista dei materiali del suo studio, tra i quali gli scettri africani della collezione di Giulio Basile, si attribuisce una evoluzione parabolica, che, dopo alcune eccellenti ricerche degli anni Settanta e dei primi Ottanta, vede un suo progressivo distaccarsi dal femminismo, di cui era stata sostenitrice esplicita, un suo ingaggiarsi con la destra berlusconiana o leghista in chiave antieuropea in nome dell'identità nazionale, fino alle denunce del progetto ebraico, una sorta di congiura per il dominio sul mondo che rammenta i “Protocolli dei saggi di Sion”. L'inizio della fase discendente della parabola è da molte e molti individuato nello studio su La sessualità maschile (Mondadori, 1989), centrato sul pene, letto non tanto come simbolo, ma come organo, al punto che talune psicanaliste con ascendenze freudiane considerarono quel libro una enfatica trasfigurazione della celebre invidia. 
Carlo Formenti, giornalista e sociologo, già all'uscita dell'anteprima, espose su “Sette”, il magazine del Corsera, alcune obiezioni che mi paiono fondamentali e trovo utile conservare qui. (S.L.L.)

Il settimanale “Epoca” ha presentato ampi stralci di un nuovo libro di Ida Magli sulla sessualità maschile. «Per capire la nostra cultura dovevo capire i maschi, visto che sono stati loro a costruirla. Questa la strada che ho percorso a ritroso. E alla sommità della risalita ho trovato il pene». La scalata non dev'essere stata epica, visto che una mole sterminata di produzioni antropologiche, psicologiche e filosofiche l'ha preceduta sul terreno della centralità della funzione simbolica del fallo in tutte le culture umane. Ma Ida Magli non parla del fallo come simbolo: parla del pene reale, dell'organo biologico maschile. Dichiara apertamente di voler fondare la critica femminista su una nuova metafisica riduzionista: «Ricondurre il potere maschile alla fisiologia significa relativizzarne la potenza e quindi ridurla».
Eccola dunque impegnata nell'ardua impresa di superare criticamente le teorie di un illustre predecessore nel campo dell'antropologia «materialista»: André Leroi-Gourhan. Questo grande studioso di antropologia fisica (recentemente scomparso) è autore di una monumentale opera sull'evoluzione della nostra specie. La sua tesi di fondo è che le nostre origini sono legate alla stazione eretta che libera la mano, organo già conformato in modo da favorire la manipolazione di oggetti. Il cammino verticale e la morfologia della mano incidono sullo sviluppo dell'apparato neurocerebrale. Egli pone la liberazione della mano in relazione alla nascita del linguaggio: la manipolazione di oggetti rende possibile la manipolazione di simboli.
Ida Magli rimprovera a Leroi-Gourhan di non aver mai pensato che il pene «si muove e agisce ben prima della mano», «proietta lontano da sé un getto», è uno «strumento» che lascia «intravedere la possibilità di costruire qualsiasi altro strumento proiettivo che raggiunga un bersaglio».
Ma che significa dire che, in evoluzione, un organo «viene prima» di altri? Un organismo è un insieme integrato di parti. È curioso che proprio una donna assuma il punto di vista «analitico» (prettamente maschile) che scompone e gerarchizza le parti del corpo. Più correttamente Leroi-Gourhan attribuisce a certi fattori biologici una forza propulsiva di processi culturali, ma riconosce che questi ultimi retroagiscono a loro volta sull'evoluzione biologica: l'uomo, sin dalle sue origini, è un essere culturale «per natura». Leroi-Gourhan ha fondato la sua teoria su una mole imponente di osservazioni sui resti di razze preominidi e ominidi. Sulla base degli stralci pubblicati su “Epoca” è lecito dubitare che la Magli faccia altrettanto. Non le chiederemo di esibire inesistenti ossicini del pene, ma non possiamo accontentarci di considerazioni psicologiche sulla difficoltà dei suoi allievi maschi a rispondere alla domanda: «Come mai l'uomo ha sempre bisogno di un qualcosa contro cui gettare l'urina?».
Un'ultima osservazione. La Magli pensa che la potenza simbolica del fallo si fondi sulla potenza biologica del pene. Secondo lei, per gli uomini l'erezione sarebbe l'archetipo di ogni vittoria, il getto di sperma il modello di una relazione attiva di dominio sugli oggetti. Se avesse meglio interrogato i suoi allievi, le avrebbero spiegato che il bambino preadolescente vive l'erezione passivamente, come esperienza di un corpo che reagisce a stimoli interni indipendenti dalla sua volontà, a volte con paura e angoscia. Le basi del dominio maschile non sono biologiche (altrimenti, con buona pace di Ida Magli, sarebbero irreversibili) ma simboliche e culturali.

“Sette - Corriere della sera”, 12 giugno 1989

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