A Ida Magli, antropologa
documentata, spesso interprete originale e anticonformista dei
materiali del suo studio, tra i quali gli scettri africani della
collezione di Giulio Basile, si attribuisce una evoluzione
parabolica, che, dopo alcune eccellenti ricerche degli anni Settanta
e dei primi Ottanta, vede un suo progressivo distaccarsi dal
femminismo, di cui era stata sostenitrice esplicita, un suo
ingaggiarsi con la destra berlusconiana o leghista in chiave antieuropea in nome
dell'identità nazionale, fino alle denunce
del progetto ebraico, una sorta di congiura per il dominio sul mondo che rammenta i “Protocolli dei saggi di
Sion”. L'inizio della fase discendente della parabola è da molte e molti individuato nello studio su La sessualità maschile
(Mondadori, 1989), centrato sul pene, letto non tanto come simbolo, ma come organo, al punto
che talune psicanaliste con ascendenze freudiane considerarono quel libro una
enfatica trasfigurazione della celebre invidia.
Carlo Formenti, giornalista e sociologo, già all'uscita dell'anteprima, espose su “Sette”, il magazine del Corsera, alcune obiezioni che mi paiono fondamentali e trovo utile conservare qui. (S.L.L.)
Carlo Formenti, giornalista e sociologo, già all'uscita dell'anteprima, espose su “Sette”, il magazine del Corsera, alcune obiezioni che mi paiono fondamentali e trovo utile conservare qui. (S.L.L.)
Il settimanale “Epoca”
ha presentato ampi stralci di un nuovo libro di Ida Magli sulla
sessualità maschile. «Per capire la nostra cultura dovevo capire i
maschi, visto che sono stati loro a costruirla. Questa la strada che
ho percorso a ritroso. E alla sommità della risalita ho trovato il
pene». La scalata non dev'essere stata epica, visto che una mole
sterminata di produzioni antropologiche, psicologiche e filosofiche
l'ha preceduta sul terreno della centralità della funzione simbolica
del fallo in tutte le culture umane. Ma Ida Magli non parla del fallo
come simbolo: parla del pene reale, dell'organo biologico maschile.
Dichiara apertamente di voler fondare la critica femminista su una
nuova metafisica riduzionista: «Ricondurre il potere maschile alla
fisiologia significa relativizzarne la potenza e quindi ridurla».
Eccola dunque impegnata
nell'ardua impresa di superare criticamente le teorie di un illustre
predecessore nel campo dell'antropologia «materialista»: André
Leroi-Gourhan. Questo grande studioso di antropologia fisica
(recentemente scomparso) è autore di una monumentale opera
sull'evoluzione della nostra specie. La sua tesi di fondo è che le
nostre origini sono legate alla stazione eretta che libera la mano,
organo già conformato in modo da favorire la manipolazione di
oggetti. Il cammino verticale e la morfologia della mano incidono
sullo sviluppo dell'apparato neurocerebrale. Egli pone la liberazione
della mano in relazione alla nascita del linguaggio: la manipolazione
di oggetti rende possibile la manipolazione di simboli.
Ida Magli rimprovera a
Leroi-Gourhan di non aver mai pensato che il pene «si muove e agisce
ben prima della mano», «proietta lontano da sé un getto», è uno
«strumento» che lascia «intravedere la possibilità di costruire
qualsiasi altro strumento proiettivo che raggiunga un bersaglio».
Ma che significa dire
che, in evoluzione, un organo «viene prima» di altri? Un organismo
è un insieme integrato di parti. È curioso che proprio una donna
assuma il punto di vista «analitico» (prettamente maschile) che
scompone e gerarchizza le parti del corpo. Più correttamente
Leroi-Gourhan attribuisce a certi fattori biologici una forza
propulsiva di processi culturali, ma riconosce che questi ultimi
retroagiscono a loro volta sull'evoluzione biologica: l'uomo, sin
dalle sue origini, è un essere culturale «per natura».
Leroi-Gourhan ha fondato la sua teoria su una mole imponente di
osservazioni sui resti di razze preominidi e ominidi. Sulla base
degli stralci pubblicati su “Epoca” è lecito dubitare che la
Magli faccia altrettanto. Non le chiederemo di esibire inesistenti
ossicini del pene, ma non possiamo accontentarci di considerazioni
psicologiche sulla difficoltà dei suoi allievi maschi a rispondere
alla domanda: «Come mai l'uomo ha sempre bisogno di un qualcosa
contro cui gettare l'urina?».
Un'ultima osservazione.
La Magli pensa che la potenza simbolica del fallo si fondi sulla
potenza biologica del pene. Secondo lei, per gli uomini l'erezione
sarebbe l'archetipo di ogni vittoria, il getto di sperma il modello
di una relazione attiva di dominio sugli oggetti. Se avesse meglio
interrogato i suoi allievi, le avrebbero spiegato che il bambino
preadolescente vive l'erezione passivamente, come esperienza di un
corpo che reagisce a stimoli interni indipendenti dalla sua volontà,
a volte con paura e angoscia. Le basi del dominio maschile non sono
biologiche (altrimenti, con buona pace di Ida Magli, sarebbero
irreversibili) ma simboliche e culturali.
“Sette - Corriere della
sera”, 12 giugno 1989
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