Orologio a Parigi (Rue Réaumur, 61-63) |
La cosa non è solo una
banale notazione. Qualcosa è cambiato nella concezione del tempo e
non soltanto per l'introduzione dei cronometri da polso. Già
all'epoca della prima rivoluzione industriale vi era, nella misura
del tempo, uno stretto rapporto tra società e fabbrica. Comparivano
allora nei taschini dei borghesi gli orologi, e nel contempo si
educavano gli operai alla nascente disciplina di fabbrica mediante la
regolamentazione del tempo.
Oggi l'informatica cambia
non solo i modi del lavorare, ma anche la concezione del tempo entro
cui il lavoro si svolge. Ecco dunque una storia da fare: quella del
tempo. La misura precisa del tempo, è il risultato della civiltà
mercantile e urbana. «Il campanile - scrive Camporesi - simbolo del
rapporto fra l'alto e il basso, fra il vertice e l'orizzontale, punto
di sorveglianza e di controllo del lavoro servile, apre una
dimensione nuova fra il tempo e la torre, fra il piano e gli
strumenti di scansione del tempo-preghiera e del tempo-lavoro». La
storia del tempo è dunque intrecciata a quella del lavoro e alle sue
forme di dominio.
La sua nozione
pessimistica, trasmessaci dal Rinascimento e dal Barocco (il tempo
«annienta tutto ciò che esiste»), non è estranea a questa visione
moderna del tempo. Nel «tempo del mercante» il giorno subisce una
accelerazione, diviene calcolabile. Le ore vengono divise fra ore del
giorno e ore della notte, e subentra la paura della morte, come
effetto di questa materializzazione del computo delle ore. Il tempo
non è più di Dio, e, come scrive Leon Battista Alberti, tre cose
appartengono all'uomo: l'anima, il corpo e il tempo. Già nella
seconda metà del '300 si parla di «perdita di tempo» e del dovere
«di conservare il tempo». Esso è come il talento della parabola
evangelica che può andare perso: il tempo è denaro.
Agli albori della
rivoluzione industriale i puritani diffondono questa nozione, e R.
Baxter nel suo Direttorio Cristiano (1673), un libro diretto a
mercanti e commercianti, parla del tempo come moneta. Esistono
manuali che incitano i borghesi ad alzarsi presto, a vestirsi in
fretta e a usare in ogni dettaglio bene il proprio tempo. L'appello
alla disciplina del tempo, insieme alla continenza, alla probità
economica e sessuale, si dirige principalmente verso la borghesia, il
tesaurizzatore del tempo è — scrive Marx — il «martire del
valore di scambio, come santo asceta sulla sommià della colonna
metallica... Egli va in estasi pel valore di scambio e perciò non
scambia nulla... Nella sua immaginaria smania di piacere illimitato
egli rinuncia a tutti i piaceri. Siccome egli vuole soddisfare tutti
i bisogni sociali, soddisfa a mala pena il naturale bisogno
corporale» (Per la critica dell'economia politica). Questo
ritratto corrisponde perfettamente a quello del “borghese anale”
di Freud, per cui esiste uno stretto rapporto tra denaro, tempo e
merda. Trattenere è infatti il suo Vangelo.
Ma lo spirito capitalista
si estende anche al lavoro operaio. E se è anche vero che la
determinazione del tempo come denaro precede l'uso generalizzato
degli orologi, è l'orologio del padrone che controlla il tempo
operaio. Si irrigimenta la settimana lavorativa, imponendo la fine di
ritmi irregolari di lavoro e contemporaneamente si impone il lavoro
di fabbrica. Attorno al 1770 uri tale Wedgwood inventa persino il
sistema del cartellino orario.
La borghesia che ha
sperimentato su di sé le tecniche di disciplina, le estende al
nascente proletariato. Sono le tecniche di individualizzazione,
frutto della moderna ragione, attraverso cui la legge del valore
tende a produrre ad assoggettare i corpi borghesi ed operai. Il tempo
del mercante è divenuto il tempo della produzione. Nella
fabbrica si introducono le multe, gli informatori, i campanelli e i
tempisti. La prima generazione dei lavoratori di fabbrica è dedicata
all'importanza del tempo, la seconda si impegna nella battaglia delle
dieci ore, la terza, che ha imparato, a proprie spese, che il tempo è
denaro, combatte contro lo straordinario (E. P. Thompson). Il tempo è
in rapporto con i gesti, è un tempo meccanico. Del resto la prima
macchina è costituita dall'insieme degli operai, dal loro lavorare
insieme nella fabbrica. Marx ci spiega che la distinzione tra plus
valore assoluto, quello ottenuto dall'allungamento del tempo del
pluslavoro (aumento della durata del lavoro) o dall'aumento
dell'intensità del lavoro, e plusvalore relativo, quello ottenuto
mediante la diminuzione del tempo di lavoro necessario mediante
l'aumento della produttività, poggia sulla concezione del tempo. La
lotta operaia contro l'allungamento del tempo imporrà l'aumento
della produttività. Il capitale affianca perciò alla «macchina
operaia» le macchine capitaliste. La resistenza ad esse è già
iniziata.
Nel 1826 ad Accrington in
Inghilterra, durante una rivolta operaia, la prima cosa che viene
distrutta nella fabbrica — ed è una donna a farlo — è
l'orologio. Ma il tempo della produzione si estende ovunque, dalla
fabbrica alla città, e — come ricorda Walter Benjamin — durante
la Comune di Parigi alla sera del primo giorno di battaglia in molti
luoghi della città, e indipendentemente, si sparò contro gli
orologi delle torri.
Il Capitale, attraverso
le macchine, «prolunga la giornata aldilà di ogni limite naturale»
(Marx). Con l'epoca imperialista si ha ulteriore punto di svolta;
infatti non solo il tempo è denaro ma anche il denaro è tempo.
Siamo nell'epoca dell'apertura mondiale del mercati, e il consumo
inizia ad acquistare un peso preponderante. C'è un romanzo — come
suggerisce in un suo saggio Beniamino Placido (Per la critica
n. 5/6 1974) — che schematizza questa formula: Il viaggio
intorno al mondo in 80 giorni di Jules Verne. Il protagonista
Phileas Fogg, moderno borghese, in lotta contro il tempo per
scommessa, acquista tempo attraverso il denaro per giungere prima al
traguardo.
Il denaro accumulato
compra il tempo, e quest'ultimo, entità astratta, si può proprio
acquistare: «il denaro diviene misura del tempo. Borges ha
raffigurato il rapporto fra denaro e tempo in un suo racconto, Lo
Zahir. All'autore è capitata tra le mani una moneta argentina da
venti centesimi, lo Zahir appunto: «insonne, invasato, quasi felice,
pensai che nulla è meno materiale del denaro, giacché qualsiasi
moneta (una moneta da venti centesimi, ad esempio) è, a rigore, un
repertorio di futuri possibili. Il denaro è un ente astratto,
ripetei, è tempo futuro. Può essere un pomeriggio in campagna, può
essere musica di Brahms, può essere carte geografiche, può essere
gioco di scacchi, può essere caffè, può essere le parole di
Epitteto, che insegnano il disprezzo dell'oro; è un Proteo più
versatile di quello dell'isola di Pharos. È tempo imprevedibile,
tempo di Bergson, non tempo rigido dell'islam o del Portico. I
deterministi negano che ci sia al mondo un solo fatto possibile, id
est un fatto che sia potuto accadere; una moneta simboleggia il
libero arbitrio». E il tempo è una mercé, dunque può essere
scambiato, sottoposto com'è all'equivalenza generale della forma di
denaro. Col taylorismo e il fordismo il cronometro diviene lo
strumento principale di produzione e si incorporano quantità sempre
più piccole di tempo di lavoro in quantità sempre più grandi di
prodotto.
Il tempo si rapporta ai
movimenti, i minuti ai centimetri, è l'inizio di una scienza del
ritmo; si riunificano così spazio e tempo, e il lavoro diviene pura
ripetizione di movimenti ideali in tempi ideali. Non si sorveglia
più, ma si modella il corpo operaio attraverso le lancette, il tempo
è interiorizzato. Esso diviene ossessivo, e il cronometro,
«strumento politico di dominio sul lavoro» (Coriant), segmentando
sempre più precisamente unità sempre più piccole, annulla il
tempo. Il lavoro è ripetizione infinita, ripetitività senza
progressione. Con un paradosso si può dire che il cronometro
rintroduce nella fabbrica, che è il cuore della modernità, il tempo
ossessivo tipico delle forme arcaiche di civiltà. Alla catena, in
una coazione a ripetere, il tempo produce il corpo operaio e insieme
è prodotto come mercé. Le macchine, hanno modificato la concezione
del tempo, e non esiste un tempo sottratto al dominio del capitale.
Chi ha più denaro può acquistare più tempo libero, che è il
surrogato moderno del piacere. Il tempo del capitale si estende
ovunque tanto che il tempo di non lavoro alimenta esso stesso il suo
processo di ampliamento.
“il manifesto”, 26
marzo 1981
Nessun commento:
Posta un commento