22.4.14

Letteratura. Da rosa nasce rosa (Natalia Aspesi)

Un articolo “dal vivo” sulla situazione letteraria degli anni Ottanta. Si ricordano e si apprendono tante cose. Può servire anche per un confronto. (S.L.L.)

La letteratura rosa divide i suoi ammiratori in due categorie inconciliabili: chi la legge e chi ne disserta. Mentre lo studioso di poesia è una persona appassionata che ha divorato migliaia di versi; mentre il critico d'arte ha studiato centinaia di saggi e visto migliaia di mostre, l'esperto di letteratura rosa ha una sua esperienza molto limitata: tre Liala, una Mura, due Delly, quattro Harmony, un paio di Peverelli, sono tutto il suo patrimonio culturale del ramo. Gli manca cioè l'abitudine, il coinvolgimento, l'attesa, la passione, la conoscenza, che ha invece il lettore, o meglio la lettrice di rosa, che dal rosa trae godimento e divertimento. La condizione dei ricercatori del rosa è come quella di certi critici cinematografici che davanti allo schermo sbuffano, si impazientiscono, si addormentano o ne se vanno a metà. I film non gli piacciono più, o forse non gli sono mai piaciuti, li vedono per puro dovere professionale, pensando alla pensione.
C'è un altro abisso tra esperti di rosa e consumatori di rosa; mentre tra esperti e consumatori di poesia, d'arte, di cinema, esiste un legame, perché i secondi seguono i primi, ne traggono informazioni, sono d'accordo o in contrasto con loro, chi consuma rosa non ha la minima idea dell'esistenza degli esperti di rosa. Legge Bello e tenebroso; Le danzatrici lunari; Così ardente, così crudele; o Il mormorio delle onde, con piacere istantaneo subito cancellato: ma non le passa certo per la mente di sapere perché esiste il genere rosa e chi è la lettrice di rosa. Che ci siano decine di saggi sull'argomento le è ignoto; e se lo sapesse le sembrerebbe molto stravagante: Eco per lei non è un Umberto, ma giustamente il riflesso della voce della principessa Arzinia che grida alle montagne "Ti amo", pensando alla zingaro Fibar.
Dal primo al 5 luglio ci sarà a Gabicce una massiccia e sontuosa manifestazione dedicata al rosa, organizzata da Patrizia Carrano che ha avuto anche lei i suoi sprazzi di ricerca sull'argomento. E per la prima volta ci sarà il tentativo di rendere visibili gli esperti ai consumatori e viceversa: ci saranno tavole rotonde con i massimi dotti del genere, film sentimentali degli anni Cinquanta e film derivati dall'immortale storia di Cenerentola, recitals, videoregistrazioni di matrimoni reali, brani di telenovelas, chioschi con vendita di fondamentali opere della collana Bluemoon, ripresa pubblica di scene di un fotoromanzo di “Grand Hotel”, mostre di libri, manifesti, cartoline, gare ciclistiche in onore del rosa al maschile; la “Gazzetta dello Sport”. Forse la lettrice di Mavì mia vita e di Una lacrima nel pugno potrà finalmente incontrare l'autore dell'inchiesta sociologica La grande evasione, mentre il più noto esperto di neorealismo rosa del cinema italiano potrà confrontare le sue opinioni con la spettatrice che ha appena rivisto in televisione L' ultima violenza con Yvonne Sanson o si ricorda ancora di Violette nei tuoi capelli con Carla del Poggio. E chissà che da rosa non nasca rosa!
Una convinzione che io spero venga sfatata durante il convegno, è che esista davvero una vera e propria classe riconoscibile di consumatrici di rosa: tutte le altre donne (e l'intera massa degli uomini) leggerebbero romanzi alti, saggi, trattati. Oppure come è più probabile, niente. Esisterebbe quindi un continente sentimentale che per esempio nel 1983 in Italia ha divorato 28 milioni di romanzi rosa, il solo genere editoriale in clamorosa espansione: ma saranno state 28 milioni di donne (da un mese a 99 anni) a leggerne uno a testa, o dieci milioni a leggerne 2,8, o un milione a leggerne 28, o centomila a leggerne 280, o diecimila a leggerne 2800, alla media di otto al giorno? Io credo invece che, a parte una nutrita schiera di intossicate, prima o poi il rosa capiti nella vita di ogni donna, sia essa filosofa o architetto, chirurgo o astronomo: non sono i lavori domestici a far parte della natura femminile, ma probabilmente il rosa: magari un solo giorno nella vita (o una sola volta la settimana), la lettura rosa lenisce e conforta, rilassa e insegna: per esempio a far fremere le ciglia, tecnica di seduzione ormai ignorata totalmente anche dai manuali più aggiornati e che invece è ancora in grado di dare ottimi e poco compromettenti frutti.
Io sono di quelle che non hanno un passato di Delly e Liala; anche da adolescente i loro romanzi li trovavo molto noiosi, faticosi, quasi illeggibili. Ma qualunque cosa leggessi, io ne cavavo, appassionatamente, quasi esclusivamente il rosa: dentro il famoso schema di "lettura a più livelli", io sprofondavo subito nel più basso, o nel più vistoso, o magari anche nel più vero. Così leggevo quella che dagli esperti veniva considerata addirittura letteratura classica, sentendomi a posto con la mia coscienza: ma saltando nervosamente ogni descrizione di paesaggio, ogni approfondimento storico, sociale, emotivo, senza afferrare lo stile letterario, la scrittura poetica: anche I Promessi sposi riuscii a leggerlo come fosse stato Un inverno d' amore di Luciana Peverelli. Stendhal, Flaubert, Balzac, Dickens, raccontavano a me solo storie d'amore; passavo le notti a leggere La fiera delle vanità, mai sazia dell'intrigante Becky e della dolce Amelia, anche se la suprema delizia erano Jane Eyre, Orgoglio e pregiudizio e Mansfield Park, perché per Charlotte Bront e soprattutto Jane Austen, nei romanzi e nella vita, la massima aspirazione era il matrimonio, con uomini sempre più ricchi e nobili di loro; e quel che non era riuscito (o riuscito tardi e male) alle autrici, coronava invece le speranze delle protagoniste, e quindi anche le mie. Del resto queste storie sono poi diventate sceneggiati televisivi, prestandosi appunto all'enfatizzazione dei bisticci e delle trame amorose, e colorandosi del tutto di rosa.
La letteratura rosa oggi suscita tanto interesse negli intellettuali che si definiscono studiosi di fenomeni di massa, anche perché ha un grande mercato, vende con un libro quello che un buon autore non riesce a vendere con la sua opera omnia: si tratta quindi anche di invidia, di gelosia, di voglia di avvicinarsi nella speranza di essere contaminati dal successo. Però oggi la letteratura rosa è un vero prodotto industriale, sfornato a pezzi da oscure e oscuri tecnici della parola rosa. Non ci sono più signore di cui sognare, Mura, Liala, Barbara Cartland; è solo un marchio anonimo di collana a garantire la confezione. Le nuove regine dei best-sellers hanno infatti definitivamente abbandonato il rosa (che è tale solo se asessuato, solo desiderio e attesa ostacolati da equivoci, e la consumazione erotica deve avvenire dopo, quando il libro è finito), e si sono gettate su avventure femminili molto più complesse e avvincenti, interrotte ogni cinquanta pagine da diligenti descrizioni di porcherie. Judith Krantz, Jackie Collins, Anne Tolstoy Wallach, Cynthia Freeman sono autrici di romanzi per signore di buon livello pornoletterario. Sono diventate miliardarie più di Colleen McCullough di Uccelli di rovo. Ma attorno alle loro opere non si fanno convegni, anche perché se mai i critici letterari le leggessero, potrebbero accorgersi con spavento che non sono peggio, che certe volte sono meglio, di quelle dei nostri scrittori più rinomati e recensiti.
Le donne, e in questo caso le signore, hanno una loro separata catena di informazione, tanto più utile perché ignorata e disprezzata dagli uomini: se dal rosa imparano il gioco, sia pure estenuante eppure sempre valido, dei sentimenti, da Collins e colleghe apprendono, o perfezionano, ogni sorta di trappola sessuale quasi sempre vincente. Ormai anche il sentimento, anzi il sentimentalismo, esce dal suo oscuro gineceo, e non certo perché ispira saggi e convegni; le menti più pensose e ardite, gli intellettuali più noti per il rigore e la perfezione estetica, se ne stanno impossessando, servendosene per rendere il loro successo non solo sublime ma anche popolare.
Un esempio è il film che ha vinto la palma d' oro al festival di Cannes, Paris-Texas del celebrato, adorato, cupo Wim Wenders: anche qui si trattava di doppi livelli. E mentre i critici si entusiasmavano per la perfezione della regia, la ricerca estetica, il racconto misterioso di una solitudine e disperazione virile, una buona parte degli spettatori, tra cui io, ne afferrava una delicata, classica storia rosa; un uomo che anni prima ha lasciato la moglie e perso la memoria viene ritrovato e decide col figlio bambino di andare a ricercare la donna: la trova in un locale equivoco, un vetro li divide ma permette a tutti e due di raccontarsi tutto, l' anima e il cuore. Solo il bimbo tornerà con la mamma, perché lui nuovamente se ne va, verso la solitudine. Si è mai visto in un romanzo rosa un lieto fine in cui la bella protagonista caduta in peccato torna con il marito, l'innamorato, felice e contenta?


“la Repubblica”, 30 giugno 1984  

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