Riprendo dall'ultimo "micropolis" la battaglia delle idee, scritta da Roberto Monicchia. Mi pare un testo su cui riflettere al di là dell'occasione che ne ha stimolato la redazione. (S.L.L.)
Forse è superfluo
proporre una critica del nuovo capo del Pd e presidente del consiglio
Matteo Renzi a partire dalle sue opzioni ideali: per giudicare l'uomo
e il personaggio bastano e probabilmente avanzano gli atteggiamenti,
il linguaggio, le scelte e le azioni quotidiane. Tanto più sapendo
che il segretario fiorentino (absit iniuria verbis) appartiene
a una cultura politica che rifiuta programmaticamente il ragionamento
approfondito e le complicazioni della teoria, relegata nel buco
nero delle ideologie e
sostituita dalla frase ad effetto e dallo slogan da talk-show.
Ma chi come noi il vecchio vizio della giustificazione dialettica non
l'ha mai perso, non poteva resistere al richiamo - rilanciato alla
grande da "Repubblica" - del "Manifesto del
Renzi-pensiero", ancor più se esso si presenta come
introduzione alla nuova edizione del famoso saggio di Norberto Bobbio
Destra e sinistra.
Il furbo Renzi non si
accoda alla affermazione corrente secondo cui le categorie classiche
di destra e sinistra sono prive di senso, e anzi ne rilancia la
necessità, auspicando di passaggio anche per l'Italia un bipolarismo
all'americana, e ritenendo addirittura poco più che un escamotage
dialettico la nozione di centro-sinistra. Il problema si pone nella
definizione dell'elemento discriminante. Come è noto Bobbio
individuava nella rivendicazione dell'uguaglianza il tratto
distintivo della sinistra, imprescindibile anche dopo le prove e le
trasformazioni del '900. Per Renzi questo obiettivo - o valore,
principio, idea limite che dir si voglia - non basta e non serve ad
affrontare le sfide di oggi, quindi a definire una sinistra moderna.
Quel principio si è inverato nelle politiche di welfare del '900, ed
è stato lo strumento con cui la socialdemocrazia ha costruito le sue
fortune e sconfitto... il comunismo, suo principale antagonista
storico. Insomma, l'uguaglianza sociale si è già realizzata, adesso
la sinistra per avere un senso deve andare oltre, e Renzi si dice
convinto - la sicumera non gli manca - che Bobbio stesso avrebbe
aggiornato la sua proposta.
Dunque altre dicotomie
identitarie devono definire la distinzione sinistra-destra; e qui il
nostro può sciorinare la nota fantasia lessicale: Blair, un gigante
politico e morale della sinistra mondiale (dalla guerra in Iraq alla
questione palestinese) ha parlato di aperto/chiuso, Renzi ritiene
possibile anche avanti/indietro ma - forse per timore di passare
dalla teoria politica al codice stradale o al kamasutra - ripiega
alla fine sulla più banale coppia innovazione/conservazione. Dopo
tanto girovagare, insomma, si ritorna al "nuovismo"
veltroniano: non proprio una grande novità, appunto.
Ma si tocca un punto
chiave. La categoria dell'innovazione, insieme a quella delle
riforme, infatti, è stato lo strumento ideologico del trentennio
della controffensiva capitalistica e di politiche economiche che
hanno provocato la crisi e continuano ad impedirne la soluzione. E'
proprio l'appello generico a "innovazione" e "riforme"
che ha generato l'indistinzione tra sinistra e destra, o meglio
l'assimilazione della sinistra alla destra. Thatcher e Blair, per
esempio, sono entrambi considerati "innovatori", e gli
esiti delle loro politiche sono analoghi; ma la distruzione del
welfare era un obiettivo dichiarato solo dai conservatori.
Proprio inseguendo l'innovazione come valore in sé, la sinistra ha
perso la sua ragione d'essere ed è stata sconfitta in tutte le sue
versioni (non solo quella comunista).
Il peccato ideologico di
Renzi (ideologia come falsa coscienza) consiste nel far finta di non
vedere che la diseguaglianza sociale è ancora - oggi più di venti
anni fa - decisiva per capire il mondo e discriminante tra chi vuole
cambiarlo e chi vuole lasciarlo com'è. Ha ragione Rossana Rossanda a
dire che con queste affermazioni si abbandona definitivamente, anche
sul piano simbolico, ogni richiamo al socialismo. La contemporanea
adesione al Pse non va in controtendenza, semmai indica che il
problema non è solo del Pd, ma dell'intera sinistra europea. Si può
sorridere degli artifici retorici di Renzi, ma il riflesso concreto è
piuttosto serio, se a considerare l'uguaglianza un problema risolto è
il premier di un paese che ha un tasso di disoccupazione giovanile
superiore al 40% e in cui i redditi da lavoro portano quasi da soli
il peso del fisco. La si prenda dal cielo dalla teoria o dalla terra
della pratica, la conclusione è la stessa: nessuno si faccia
illusioni.
“micropolis”, marzo
2014
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