Si tratta della celebre
intervista televisiva rilasciata a Giovanni Minoli, conduttore di
"Mixer", l'11 giugno 1983. E' ricordata soprattutto per
alcune battute (quella sul “giocatore di poker” soprattutto), ma
ci sono – a mio giudizio – passaggi assai più importanti. (S.L.L.)
Onorevole Berlinguer,
in una battuta nota, l'onorevole Pajetta ha detto che lei, di nobile
famiglia sarda, si è iscritto fin da ragazzo alla direzione del Pci.
La considera una critica o un complimento?
«Un complimento, non del
tutto vero, perché all'inizio della mia milizia comunista ho fatto
il segretario di sezione».
Sempre parlando di
potere, in televisione lei recentemente ha ammesso, sia pure con
molta reticenza, che rifare il segretario del partito comunista, dopo
dieci anni, le fa ancora piacere. Ecco, ma perché tanta reticenza
nell'ammetterlo?
«Mi ha dato
soddisfazione l'ampiezza del consenso con la quale sono stato
designato».
Ma per lei cosa è il
potere?
«Il potere è uno
strumento insufficiente ma necessario per realizzare gli ideali in
cui credo io e in cui credono i miei compagni».
Ma a lei cosa piace
invece di più del potere?
«Mi piace la possibilità
di far avanzare la realizzazione di questi ideali».
E di meno?La cosa che
le dà più fastidio?
«Di meno, parlando non
soltanto a titolo personale ma parlando come segretario del partito
comunista, mi dispiace che il nostro potere sia ancora insufficiente,
insufficiente per la realizzazione dei nostri obiettivi».
Senta onorevole
Berlinguer, ma che differenza c'è tra l'austerità che predicava lei
e il rigore invocato oggi dalla Confindustria e dalla Democrazia
cristiana?
«Il punto fondamentale è
chi paga, prevalentemente, le spese della fuoriuscita dalla crisi e
del risollevamento economico e sociale del Paese. Da questo punto di
vista noi rifiutiamo che a pagare siano i soliti, siano gli operai,
siano le masse popolari; e riteniamo che, se sacrifici devono
esserci, e tutti in misura proporzionale vi debbono contribuire,
debbono servire a raggiungere determinati traguardi e non a far
tornare indietro il Paese».
Ecco, però, a
proposito di questo rigore, si dice che lei avrebbe in testa, per
dopo le elezioni, quel governo diverso, composto da tecnici e
personalità scelte fuori e dentro i partiti, una sorta di governo
del presidente, diciamo, al quale il Pci darebbe il suo sostegno. È
vero o no?
«Abbiamo indicato dei
criteri di formazione del governo diversi di quelli seguiti sinora,
in base ai quali il presidente del Consiglio dovrebbe scegliere
liberamente, e non attraverso le imposizioni e designazioni delle
segreterie dei partiti, i ministri, fra uomini di partito e al di
fuori del partito. Questo ritengo che sia un criterio valido per
qualsiasi governo, compreso un governo di alternativa democratica».
Quindi, non c'è
un'alternativa tra governo diverso e governo dell'alternativa?
«No, non mi pare.
Perché il problema che abbiamo posto, ripeto, di criteri non più
fondati sulla lottizzazione, sulla spartizione dei ministeri deve
riguardare qualsiasi governo, anche un governo che non sia di
alternativa democratica».
In complesso, lei come
giudica oggi la stampa italiana?
«Nella media, non
inferiore, per certi aspetti superiore, per esempio per quanto
riguarda la ricchezza dei notiziari politici, a quella di altri
Paesi. Il difetto più importante...».
Troppo...
« ...no, non direi,
perché mi pare che il popolo italiano conserva un interesse politico
maggiore di quello che vi è nella maggior parte degli altri Paesi
dello stesso occidente. Troppo, forse, nel senso che qualche volta
prevale il commento sull'informazione».
Ecco, ma qual è il
giornalista italiano che lei preferisce?
«Luigi Pintor, dal punto
di vista delle qualità giornalistiche».
L'unico?
«No, lei mi ha detto
quello che preferisco...».
E perché?
«Perché mi pare che
abbia veramente la stoffa del giornalista di alta qualità».
Senta, onorevole
Berlinguer, qual è l'ultimo romanzo che ha letto e che le è
piaciuto?
«La "Cronaca di una
morte annunciata" di Garçia Marquez».
Perché le è
piaciuto?
«Mi sembra una
combinazione felicissima di poesia e di crudo realismo».
E l'ultimo film che ha
visto e che le è piaciuto?
«L'ultimo è E.T.».
E perché le è
piaciuto?
«È un film pieno di
poesia, di fantasia e soprattutto è un film che mi pare faccia
appello ai sentimenti migliori dell'infanzia».
Alla televisione, lei
che programmi segue?
«I telegiornali, lo
sport, qualche film».
Senta, ma lei pensa
che l'arrivo delle televisioni private abbia migliorato o peggiorato,
complessivamente, la qualità dei programmi proposti al pubblico?
«Dal punto di vista
spettacolare, migliorato. Dal punto di vista culturale, non direi, o
comunque non ancora».
Parliamo
dell'evoluzione del suo modo di essere comunista. Nel '44 lei fu
arrestato a Sassari per la rivolta del pane, e rischiò la pena di
morte - leggo - "per insurrezione armata contro i poteri dello
Stato, per devastazione e saccheggi, per detenzione di armi,
associazione e propaganda sovversiva". Era colpevole o
innocente?
«Fui prosciolto in
istruttoria per non avere commesso il fatto».
Ecco, ma allora era
più giusto... voglio dire era più ingiusto quello Stato che,
comunque, dopo tre mesi, l'ha processato e l'ha assolto, per non aver
commesso il fatto, o lo Stato italiano di oggi che, più o meno per
le stesse imputazioni tiene per esempio quelli del 7 aprile e tanti
altri, come Negri e altri, da tanti anni in prigione senza
giudicarli?
«Penso anch'io che sia
un'assurdità questa detenzione così lunga».
Senta, Franco Piperno,
l'ex leader di Potere operaio, qui a Mixer ha detto che l'elemento
scatenante del terrorismo fu la politica del compromesso storico,
nella versione diciamo tradizionale, perché impediva all'opposizione
di avere il suo spazio. Lei cosa ne pensa?
«Penso che l'analisi sia
sbagliata, ma confermi che uno dei bersagli del terrorismo era il
Pci».
E il compromesso storico
nel suo insieme...
«No, il Pci con tutta la
sua politica e tutta la sua strategia realmente innovativa
dell'assetto sociale e politico italiano».
E' morto Moro, però,
per il compromesso storico.
«È morto Moro, perché
Moro era l'interlocutore più valido e più intelligente del Pci».
Senta, nel '76, a
Giampaolo Pansa, il giornalista che la intervistava, lei disse di
sentirsi più sicuro sotto l'ombrello della Nato. Lo pensa ancora?
«Sì, ma nel senso che
precisai allora. Che, se l'Italia facesse parte del Patto di
Varsavia, e non della Nato, evidentemente non potremmo realizzare il
socialismo così come lo pensiamo noi. Ciò non vuol dire che qui,
sotto l'ombrello della Nato, nell'ambito del patto Atlanlico, ci si
voglia far realizzare il socialismo».
Onorevole Berlinguer,
ma qual è il suo peggior difetto?
«Forse una certa
spigolosità del carattere».
E la qualità a cui è
più affezionato?
«Quella di essere
rimasto fedele agli ideali della mia gioventù».
E la cosa che le dà
più fastidio sentir dire di lei?
«Che sarei triste,
perché non è vero».
Lei ha una famiglia di
origini nobiliari e tradizioni massoniche. Ecco, in che rapporto è
con queste tradizioni?
«Dell'origine nobiliare,
non mi importa niente».
E delle tradizioni
massoniche?
«Mio padre si iscrisse
alla massoneria, mi pare, nel 1925-26, nel momento in cui la
massoneria fu vietata dal fascismo».
Quindi, in funzione
antifascista. E lei è massone?
«No, per carità».
Ma, se lo fosse, si
meraviglierebbe a dirlo?
«Non lo sono. Quindi non
riesco a mettermi nello stato d'animo di chi lo è».
Senta, ma il «grande
maestro» della massoneria, Corona, a Nizza ha detto che non c'è
incompatibilità tra essere massone e essere comunisti. Vero?
«Secondo
me c'è incompatibilità, perché essere iscritti alla massoneria
significa addirittura giurare fedeltà ad una associazione i cui
interessi, i cui obiettivi possono entrare in conflitto, in contrasto
con quelli del partito comunista, cioè di un'altra associazione alla
quale si aderisce liberamente».
Onorevole Berlinguer,
per lei cos'è più importante nella vita: la politica o la vita
privata?
«La
politica, però non la politica in senso generico, perché io non ho
fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per
la realizzazione degli ideali comunisti».
Ecco, ma la famiglia
quanto conta nella sua vita, allora?
«Conta
molto».
Lei ha quattro figli.
A quanto del suo essere padre, e anche marito, ha rinunciato, per
fare politica?
«A
una parte, certamente. E me ne rammarico continuamente».
Non ha mai pensato che
non ne valeva la pena proprio per davvero?
«Non
valeva la pena di rinunciare? No, questo non l'ho mai pensato e spero
di non pensarlo mai».
Se un suo figlio le
dicesse: «Non sono comunista», lei come reagirebbe?
«Rispetterei
il suo giudizio e la sua opinione».
Ma i suoi figli sono
comunisti?
«Lo
chieda a loro».
Lei non lo sa?
«No,
io in genere non rispondo a domande che riguardano i miei familiari.
Chi vuol saperne qualche cosa, chieda a loro».
Ma lei si sente
tollerante, in casa, oppure autoritario? Cioè, ha un rapporto di che
tipo?
«Cerco
di essere comprensivo».
Onorevole Berlinguer,
qual è l'uomo politico italiano, vivente, che lei stima di più?
«Pertini».
Perché?
«Mi
pare che, a parte la sua... le sue doti personali, egli abbia
costituito e costituisce tuttora un punto di riferimento e di fiducia
fondamentale per le istituzioni democratiche».
E il suo avversario
politico più duro, ma più leale, incontrato nel corso della sua
vita politica, lunga oramai. Chi è? Italiano, naturalmente.
«Un
avversario leale è stato Zaccagnini».
Senta, lei come
definirebbe Craxi? Una definizione breve.
«Un
buon giocatore di poker».
De Mita?
«Persona
astuta, anche intelligente, ma un po' imbonitore».
Fanfani?
«Fanfani:
uomo di spirito, tanto che è riuscito a risorgere sempre dopo non
poche sconfitte».
Senta, ma lei ha degli
amici veri, che non siano comunisti ?
«Sì,
diversi».
In
Berlinguer. Parole e immagini, I libri dell'Altritalia, 1994
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