“Gli
sparo in bocca ed è finita lì”. La frase, ormai celebre, è stata
intercettata in una telefonata di Nicola Femia, detto “Rocco”,
calabrese trapiantato da tempo a Ravenna, recentemente rinviato a
giudizio con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso
nell'ambito dell'indagine “Black Monkey”, della procura di
Bologna, sicuramente uno dei più grossi processi per associazione
mafiosa mai istruiti nella vicina Emilia Romagna. Oggetto delle
attenzioni del boss della 'ndrangheta,
ritenuto affiliato alla cosca Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica
(Rc), è il giornalista Giovanni Tizian, colpevole di aver alzato il
livello di attenzione sul business torbido del gioco d'azzardo nella
sua regione.
Ebbene,
Femia, da qualche tempo, ha trovato spazio (non molto a dire il vero)
anche nelle cronache locali dell'Umbria. Il tramite è Luigi
Tancredi, imprenditore lucano del business dell'azzardo, soprattutto
del gioco online (con il quale guadagna montagne di denaro), ma anche
delle macchinette mangiasoldi, quelle che da qualche anno hanno ormai
invaso la quasi totalità dei bar delle nostre città. Tancredi è
ritenuto “un socio di fatto” di Femia ed è anche lui finito in
diverse inchieste, tra cui quella denominata “Game Over” della
procura di Potenza (sua città natale), che lo accusa di essere al
vertice di un'associazione per delinquere, finalizzata alla truffa
(attraverso l'utilizzo di slot machines truccate),
all'esercizio del gioco d'azzardo abusivo e al riciclaggio di denaro.
Nell'ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti
domiciliari, il giudice Michela Tiziana Petrocelli dispone una serie
di sequestri preventivi dei beni posseduti da Tancredi, che è
accusato anche di un'ingente evasione fiscale, non avendo dichiarato
redditi per quasi 8 milioni di euro. E qui entra in gioco l'Umbria,
visto che tra questi beni troviamo la società “Peter Pan”, con
sede a Trevi, alcuni immobili, ancora a Trevi e Bastia Umbra, soldi
detenuti in conti correnti bancari a Foligno e una quota di un'altra
società con sede a Perugia.
Insomma,
il “re dei videopoker”, collegato secondo diverse procure a
importanti esponenti delle mafie (non solo Femia, ma anche i
Casalesi) ha messo radici anche nel Cuore Verde. Un fatto che merita
senz'altro attenzione e preoccupazione. Il business del gioco
d'azzardo è infatti sempre di più un vero affare per le mafie (si
stimano almeno 41 clan che gesticono “la grande roulette”)
che in questo settore fatturano ogni anno, secondo stime della
Guardia di Finanza, qualcosa come 23 miliardi di euro. Una cifra
enorme, se si pensa che il gioco “legale” nel suo complesso vale
circa 88 miliardi (dato 2012) e che di tutti questi soldi nelle casse
dell'erario ne entrano appena 8 di miliardi. Una percentuale
bassissima (clamoroso lo spread con la tassazione del lavoro),
che si è costantemente ridotta negli anni di “aziendalizzazione”
del business dell'azzardo (nel 2004 all'erario andava circa il
30% del fatturato complessivo), mentre la quantità di denaro giocato
è cresciuta all'inverosimile, con grande profitto dei privati e
delle mafie, appunto. Secondo i dati raccolti da Daniele Poto nel
dossier Azzardopoli 2.0, realizzato dall'associazione Libera,
in otto anni la raccolta del settore giochi è quintuplicata.
Provate a individuare un settore produttivo in Italia che abbia avuto
questa proporzione di sviluppo.
E
l'Umbria, ancora una volta, non è un'isola felice. I numeri stavolta
li ha forniti la Regione, in una conferenza stampa tenuta lo scorso
febbraio della vice presidente e assessore al welfare, Carla
Casciari: 365 milioni di euro spesi dagli umbri nei primi sei mesi
del 2013, il che significa due milioni al giorno, quasi 1.500
esercizi commerciali che ospitano 5.463 new slot, mentre 92 sono le
sale videolottery (60 a Perugia e 32 a Terni). Al primo posto tra i
giochi preferiti per gli umbri c’è il Gratta&Vinci, seguito da
Lotto, scommesse sportive, gioco con le carte e infine, quelli
online, che coinvolgono anche e soprattutto i minori.
Eccola
un'altra nota dolente. Il gioco tra i minori. E' di nuovo Daniele
Poto in Azzardopoli a riferire che la diffusione del gioco
d’azzardo nei ragazzi cresce al ritmo del 13% l'anno. Tra le
regioni, in testa c'è la Campania con il 57,8% di studenti
“giocatori”, cui seguono Basilicata (57,6%), Puglia (57%), e poi
Sicilia, Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria e Umbria, tutte
oltre il 50%.
Numeri
e segnali poco confortanti, di fronte ai quali Libera ha deciso di
mettersi in moto, anche in Umbria. Da una parte con il suo consueto e
straordinario lavoro nelle scuole, culminato lo scorso 21 febbraio in
una giornata al centro congressi Capitini di Perugia nella quale 550
ragazze e ragazzi degli istituti superiori della provincia hanno
presentato i loro lavori (video, drammatizzazioni, rap, loghi contro
il gioco d'azzardo e persino un questionario rivolto ai loro compagni
di scuola); dall'altra, costruendo dal basso, grazie alle
segnalazioni di cittadine, cittadini e diversi esercenti, una mappa
(Google-map) dei bar senza slot di Perugia. Un'idea mutuata da
un collettivo di Pavia (i “Senzaslot” appunto) e riprodotta a
livello locale, con risultati molto significativi. Ad oggi, sono 40 i
puntini rossi sulla mappa, tutti luoghi dove si può andare a bere un
caffè senza dover rischiare di assistere nel frattempo al dramma di
un pensionato o di una disoccupata che dilapida i suoi pochi averi in
una macchinetta mangiasoldi. Volete mettere?
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