Tenendo conto dell'ammonimento di
Michel de Montaigne a non «ostinarsi a tracciar di noi un insieme
«stabile e solido» e della sua idea che «noi siam fatti tutti di
pezzetti, e di una tessitura così informe e bizzarra che ogni pezzo,
ogni momento va per conto suo», sembra ragionevole il proposito dei
curatori della nuovissima edizione dei suoi celebri Essais
(per “la Pléiade” di Gallimard, n.d.r.) di sostituire alla
«ricostruzione archeologica» che ne avevano fatto Strowsky e Villey
nel 1922 «un testo reale, un'opera vivente»: la versione data alle
stampe dopo la morte dell'autore dalla sua ventitreenne «figlia
elettiva», Marie de Gournay, da lui amata «più che paternamente».
Senza pretendere di inventare la
versione "ideale" degli Essais, l'opera che viene
oggi presentata al lettore è quindi meno ordinata, più coerente con
la caratterizzazione che ne da il suo stesso autore: una rapsodia
(dal verbo greco rhaptein, cucire)
che mette insieme quasi 1.400 citazioni, per lo più da autori
latini, una raccolta di appunti, di «schizzi», di «disegni», una
«registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte e
talvolta contrarie», un «autoritratto».
Da questo grande affresco di quel che è
passato per la mente di un uomo sono state tratte le lezioni più
diverse. Buona parte di quel che a noi sembra interessante di
Montaigne — le sue intuizioni fulminanti, il suo stile, il suo
parlare scettico, la natura "mobile" e rivedibile della sua
saggezza — fu trattato come amabile stravaganza dai suoi
contemporanei, che preferivano il suo lato stoico e sentenzioso. Fu
invece apprezzato, seppure in modi diversi, dagli scettici e dai
libertins della prima metà del Seiceato (a partire da Pierre
Charron fino a Gassendi, Cyrano de Bergerac, La Mothe Le Vayer e
Gabriel Nandé). Anche Bacone, Shakespeare e Joseph Glanvill, in
Inghilterra, si ispirarono a lui. Non piaceva invece al sistematico
Descartes e a Pascal che lo considerava "confuso" e fu
messo all'Indice romano — che non gradiva il suo scetticismo e la
sua comprensione per le ragioni dei protestanti — nel 1676 (in
Spagna già nel 1640!).
Le sue idee sull'educazione, sui miracoli e
sulla tolleranza ispirarono molti Illuministi, da Locke a Hume, da
Voltaire a Diderot. I romantici ritrovarono in lui la riscoperta
della tradizioni popolari e il ritorno alla natura. Nietzsche ne
apprezzò l'«audace e alacre scetticismo». Claude Lévi-Strauss ha
reso omaggio al Montaigne etnologo traendo ispirazione per Il
pensiero selvaggio (1962) dal suo saggio sui cannibali. E
poi Andre Gide, Leonardo Sciascia e un lungo elenco di scrittori e
filosofi del Novecento.
Cosa ci attrae dì Montaigne nel 2000?
Sembra scontato rispolverare il suo scetticismo — anche se forse
serve a ricordarci che si può essere cattolici e scettici (o
relativisti) al tempo stesso — o il suo stile quasi «da Internet»,
fatto di pensieri sparsi da cui ciascuno può attingere liberamente
gli insegnamenti di cui sente il bisogno. Ci ripete continuamente che
con le sue opere non vuole insegnare nulla, ma dalla sua vita si può
trarre qualche utile ispirazione. Per esempio, il coraggio di
prendere le distanze dal potere, di allontanarsi dalla vita politica
non perché sconfitti, o delusi, o pessimisti, ma semplicemente per
riflettere e migliorare.
Francois Mitterrand si è fatto un
giorno fotografare con i saggi di Montaigne sotto il braccio. Non
ricordo di aver visto foto di politici nostrani con un libro (di
Montaigne o di altri). Forse dovrebbero riflettere su uno dei suoi
aforismi: «Capita alle persone veramente sapienti quello che capita
alle spighe di grano: si levano e alzano la testa dritta e fiera
finché sono vuote, ma quando sono piene di chicchi cominciano a
umiliarsi e abbassare il capo».
"Il sole - 24 ore", 24 giugno 2007
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