In prima fila a sinistra Umberto Terracini |
Ai funerali di Umberto
Terracini, cui mi accadde, un po' per caso, di partecipare, nel dicembre del 1983 c'era
molta gente d'ogni estrazione, dalle massime autorità repubblicane
(Pertini, Jotti, Cossiga, Elia e Craxi, presidenti della Repubblica,
delle due Camere, della Consulta e del Consiglio dei ministri) a
tutti i maggiori dirigenti del Pci, a tanti cittadini comuni,
comunisti e non, tra cui tanti muratori e tanti giovani.
Pertini, dopo aver sostato davanti alla bara, prese per il braccio la vedova, Laura, poi la accompagnò nel corteo. Dopo un breve ricordo di Saragat, che aveva conosciuto Terracini giovanissimo a Torino, ascoltai il discorso funebre, che era stato affidato al segretario Enrico Berlinguer. Si trattò – per usare le parole da lui usate – di un addio triste e fiero, quello qui postato. (S.L.L.)
Pertini, dopo aver sostato davanti alla bara, prese per il braccio la vedova, Laura, poi la accompagnò nel corteo. Dopo un breve ricordo di Saragat, che aveva conosciuto Terracini giovanissimo a Torino, ascoltai il discorso funebre, che era stato affidato al segretario Enrico Berlinguer. Si trattò – per usare le parole da lui usate – di un addio triste e fiero, quello qui postato. (S.L.L.)
7 Dicembre 1983. Berlinguer pronuncia il discorso funebre per Umberto Terracini |
Noi rivolgiamo qui oggi
l'ultimo saluto, un saluto triste e fiero, a Umberto Terracini, uno
degli artefici della Repubblica e della democrazia italiana e,
insieme, l'amato compagno, un maestro di pensiero e di vita, un
comunista esemplare.
Terracini, con tutta una
generazione antifascista che aveva saputo sfidare il carcere, il
confino, l'esilio, mettere a repentaglio e sacrificare la vita
stessa, sarà uno di coloro che trarranno a salvamento l'Italia,
secondo la previsione gramsciana, dalla rovina in cui il fascismo
l'aveva trascinata.
È la generazione di
Pertini e di Saragat, di Togliatti e di Nenni, degli esponenti della
corrente popolare cristiana e del pensiero liberal-democratico: ad
essa dobbiamo il riscatto democratico del Paese, la Repubblica, il
Patto costituzionale. Ad essa sarà dato dai comunisti quello
straordinario contributo che la storia ha riconosciuto.
Ognuna delle eminenti
figure dì quella generazione emerge per un proprio tratto e per una
propria particolare forza interiore nel dibattito e negli scontri che
la percorrono. Terracini è tra i più precoci nell'impegno generoso
di lotta e nella intuizione che qualcosa di profondo è ammalato nel
seno della formazione economico-sociale capitalistica così come essa
gli appare negli anni della sua prima giovinezza.
Ha già conosciuto il
carcere e poi gli orrori di quella guerra contro la quale aveva
lottato. È stato assieme a Gramsci alla testa della Sezione
socialista torinese e delle battaglie operaie alle quali l'“Ordine
Nuovo” partecipa con voce originale, con la tematica consiliare,
con le riflessioni sul partito, con il giudizio sulla Rivoluzione
d'Ottobre, un giudizio non soltanto entusiasta, ma penetrante e
sottile, capace di coglierne subito i valori permanenti e universali.
Da tempo, ormai, sono al
lavoro storici per illuminare il contributo che Terracini, da quel
primo lontano inizio, ha portato alla causa dei lavoratori, della
democrazia e del socialismo. È una riflessione che continuerà: da
essa, in ogni modo, emerge che dal momento stesso in cui Terracini
partecipa in modo determinante alla costituzione del nuovo partito
politico del movimento operaio — il partito comunista — fino al
suo ultimo intervento nella Direzione del proprio partito, la
presenza di Terracini è quella di una intelligenza critica, di una
stringente capacità ragionativa, di una inesausta passione morale.
È la presenza di chi sa
che il nuovo partito non ha dinnanzi a sé una che strada già
tracciata una volta per tutte e che la sua stessa nascita è prova di
una crisi acuta della società e dello Stato. E' per questo che la
capacità polemica di Terracini sa assumere posizioni diverse,
traendo la lezione dalla storia e dai fatti.
Nella polemica con Lenin,
che sollecita i comunisti italiani ad una linea di fronte unico con i
socialisti, allora ancora guidati dall'ala di sinistra, Terracini
sarà sostenitore — nonostante l'autorevolezza dell'interlocutore —
di una tesi di rigida chiusura. Sarà lo stesso Terracini, più
tardi, ad ammonire dal carcere i compagni che dirigono il partito sui
rischi della svolta settaria del VI Congresso dell'Internazionale
comunista, svolta che verrà modificata e corretta solo dopo la
tragedia della vittoria nazista in Germania. Tanto più alta ci
appare la figura di Terracini, quanto più egli deve affrontare non
solo la brutalità fascista, il carcere duro, l'isolamento, il
confino per tutto il tempo della giovinezza — per quasi 18
lunghissimi anni — ma deve contemporaneamente misurarsi con i
propri compagni di organizzazione e di pena in uno scontro che
giungerà sino ad una rottura certamente ingiusta, quali che ne
fossero i complessi motivi, in quella tormentata vigilia della
seconda guerra mondiale, al momento del patto di non aggressione
sovietico-tedesco.
Sarà nella lotta di
Resistenza e per il ritorno in Italia di Togliatti, che potrà essere
superata quella dolorosa lacerazione: ma è proprio mentre essa dura
che Terracini prova, assieme alla fermezza dei suoi convincimenti, la
fiducia nella capacità del proprio partito di camminare sulla strada
giusta: quella stessa strada per la quale può tornare a battersi in
prima persona come uno dei capi della Repubblica partigiana
dell'Ossola e poi, nuovamente, come uno dei massimi dirigenti del suo
partito.
L'analisi storica
mostrerà quanto si intrecciassero in quei dibattiti d'allora le
ragioni e i torti. Ma rimane indubitabile, per chi non sia affetto da
preconcetto fazioso, lo sforzo immane di ciascuno per individuare, in
una condizione così difficile e con così scarse possibilità di
indagine, la via più rispondente alle necessità del movimento dei
lavoratori e agli interessi del Paese. Poteva essere facile, in quei
frangenti, smarrirsi in modo irrimediabile nel momento in cui ci si
trovava isolati e perdenti in una disputa teorica o politica: a
qualcuno capitò, infatti, di passare addirittura dall'altra parte.
Terracini non solo non cedette mai, ma seppe tener fede al suo
partito anche nelle circostanze più difficili: e seppe farlo
laicamente — così era nel suo carattere e nella sua formazione —
e non certo, come qualcuno dice, per una sorta di concezione
religiosa del partito.
Gli anni che vanno dal
'43 al '47 costituiscono, ha scritto il Presidente della Repubblica
Sandro Pertini, uno dei più creativi della storia nazionale italiana-, sono
l'“età Costituente”. Essa comprende dapprima il complesso
triennio di preparazione, con la nascita del Comitato di Liberazione
Nazionale, la lotta armata contro il nazifascismo, il regime
transitorio, la istituzione della Consulta, lo svolgimento del
referendum istituzionale con la vittoria della Repubblica; e poi il
biennio fervidissimo della attività della Assemblea Costituente, che
si insediò il 23 giugno 1946. Di essa, dopo Giuseppe Saragat, dal
febbraio 1947 fino alla fine della legislatura, Umberto Terracini —
su proposta di Togliatti, presidente del gruppo parlamentare
comunista, e per larghissimo consenso assembleare — è il
presidente.
Un comunista veniva cosi
chiamato a rappresentare nel nuovo ordinamento dello Stato la carica
immediatamente seconda a quella del Presidente della Repubblica.
Come assolve questo suo
compito Terracini?
Noi affidiamo il giudizio
a una personalità che non era della nostra parte e della nostra
epoca, alle parole che pronunciò Vittorio Emanuele Orlando al
termine di quella solenne, storica seduta dell'Assemblea nella quale
venne approvata la nostra Costituzione repubblicana.
Disse Orlando: «A Enrico
De Nicola, innanzitutto, esprimo i nostri ringraziamenti; e poi a
questo nostro Presidente. In lui (in Umberto Terracini) c'è una
vocazione formidabile, la quale ha sostituito l'esperienza, perché
negli ultimi anni della fortunosa e mirabile sua vita egli non ha
potuto più frequentare aule universitarie, non ha più potuto
studiare precisamente quei regolamenti e quelle fonti di diritto, da
cui si formano poi gli atti costituzionali. Egli si è dimostrato
veramente straordinario!... Egli si muoveva con una padronanza
assoluta, aveva presente tutto, sapeva conciliare la fermezza di una
autorità che s'impone con la bonarietà di un collega che trova
l'arguzia per comporre un dissenso,
un contrasto, che ad altri sarebbe, forse, apparso addirittura
insormontabile! Egli è stato veramente un grande Presidente —
direi — un Presidente nato perfetto”.
Terracini visse a quel
modo da tutti ammirato la sua personale funzione, perché aveva piena
consapevolezza del compito che dovevano assolvere l'Assemblea
Costituente stessa, tutti i suoi membri e il frutto della loro opera
— la Costituzione — una volta terminata.
Terracini firma la Costituzione |
Nel rivolgersi ai
deputati, pochi minuti dopo l'approvazione della Costituzione,
Terracini così si esprimeva: “L'Assemblea ha pensato e redatto la
Costituzione come un solenne patto d'amicizia e fraternità di tutto
il popolo italiano, cui esso lo affida perché se ne faccia custode
severo e disciplinato realizzatore. Cittadini fra i cittadini,
traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli
ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e
lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della
Repubblica. Con voi inneggio a tempi nuovi cui, col vostro voto,
abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi”.
Da questo invito e
auspicio di Terracini si ricava un giudizio storico e la indicazione
di un impegno politico: se il primo Risorgimento era stato il
compimento di uno sforzo durato decenni per portare a divenire uno
Stato unitario, il Secondo Risorgimento (come è stato spesso
chiamato il periodo della Resistenza, dell'avvento della Repubblica,
della elaborazione della Carta Costituzionale) segnava l'avvio di un
processo nuovo e rinnovatore, che doveva investire e compenetrare
l'intera vita, presente e futura, della società e dello Stato. In
tal modo si sarebbe corrisposto alle aspirazioni profonde del popolo
italiano.
Terracini sentiva che
dedicarsi ad una simile opera era il compito civile e politico
preminente per realizzare la effettiva rinascita del Paese.
Coartefice della Costituzione, Terracini ne fu uno dei più coerenti
difensori, ne esigette il rispetto e soprattutto fu fino ai nostri
giorni uno dei combattenti più appassionati per la sua completa
attuazione, nella lettera e nello spirito.
Di quante battaglie nelle
piazze, nelle aule parlamentari e in quelle giudiziarie è stato
protagonista, e spesso vittorioso, Terracini! Quante volte lo abbiamo
visto scendere in campo, instancabile contro lo sfruttamento delle
classi lavoratrici, sia quando erano colpite dalle ingiustizie della
classe avversa, sia quando venivano ingiustamente percosse dalla
repressione dello Stato e del suoi organi.
Lo abbiamo visto
onnipresente difensore dei diritti sociali e civili, di quelli
tradizionali e di quelli nuovi via via sorti con il procedere dei
tempi, delle libertà individuali e di quelle collettive,
dell'autonomia dei Comuni contro le invadenze e le pretese
accentratrici dello Stato, paladino degli interessi e dei diritti
delle minoranze...
Un esempio di coerenza
politica e morale portato avanti agli occhi del partito e del Paese
sempre in piena libertà, ma senza l'ingombro dell'ostentazione.
Noi abbiamo amato e
ammirato il compagno Terracini per la sua capacità di unire alla più
viva e talora sferzante polemica con l'avversario la tolleranza e la
comprensione delle ragioni altrui, e di congiungere ai dissensi non
rari e non marginali con i propri compagni la fermezza degli
orientamenti di fondo, la fedeltà verso gli ideali comunisti della
propria giovinezza e verso i principi regolatori della vita
dell'organizzazione che egli aveva contribuito a creare. Da ciò è
venuto il contributo allo sviluppo della linea interna e
internazionale del suo partito; una linea che vuole intrecciare
democrazia e socialismo, piena autonomia nazionale e vivo spirito
internazionalista.
Proprio la sua capacità
di usare costruttivamente la sua intelligenza critica ne hanno fatto
— contrariamente all'effigie deformata che taluno ne ha tracciata —
un dirigente comunista di primo piano sino all'estremo della sua
vita.
Siamo fieri di tanto
compagno, ma siamo fieri anche di appartenere ai partito che ha
saputo avvalersi delle sue doti in incarichi di alta responsabilità.
Uno spirito indipendente e anticonformista, una coscienza libera
sempre ferma nei propri convincimenti sulle questioni fondamentali,
un intellettuale di fine cultura, una cultura che sapeva esprimere
con una eloquenza ragionatrice, talvolta e pungente, spesso
affascinante: Terracini era questo, ed era anche l'espressione
dell'animo delicato e del tratto affettuoso e gentile di chi sa che
l'essere rivoluzionario vuole anche dire saper partecipare del
sentimenti migliori delle donne e degli uomini a partire dai più
semplici e diseredati. Un'umanità profonda, una mente aperta, una
tensione combattiva e proprio per tutto questo un comunista esemplare
e un grande un uomo che ha contribuito ad innalzare il ruolo del
movimento operaio, del Partito comunista, dell'antifascismo e a
tessere la storia del paese per oltre 70 anni.
Ecco perché Terracini
era profondamente stimato e rispettato da tutti, benvoluto dal
compagni, dai lavoratori della sua natia Genova e di tutta Italia, da
tanti, tanti giovani e dagli elettori di Lucca, di di Livorno, che ad
ogni Legislatura lo vollero candidato e lo rielessero con altissimo
suffragio: sicché Terracini, fino alla fine, siederà in Parlamento,
al Senato, eletto dal popolo.
La presenza a questa
cerimonia che rende l'estremo saluto a Umberto Terracini di tante
personalità dello Stato fino al supremo magistrato, il Presidente
Pertini, di rappresentanti di tutti i partiti democratici, delle
associazioni antifasciste, della stampa, insieme a quella di tanti
comunisti, di tanti lavoratori, di giovani, di cittadini di ogni
ceto, stanno a dire che con la scomparsa di questo nostro grande
compagno non solo il Partito comunista, ma la Repubblica perdono uno
tra i più alti esempi delle qualità peculiari del nostro popolo e
delle sue indomabili speranze di rinnovamento e di progresso della
nostra Italia.
Ringrazio tutti voi che
siete qui, tutti coloro che si sono uniti a noi nel cordoglio e nel
ricordo di Umberto Terracini e ringrazio Giuseppe Saragat per le
nobili e sincere parole con cui egli ha espresso la sua alta
considerazione e la sua amicizia verso il nostro compagno perduto.
E possano essere di conforto al suoi familiari — a voi cari Laura, Oreste, Luca — questo grande affetto di popolo e la certezza che noi comunisti continueremo a seguire l'esempio di Umberto Terracini.
L'Unità, 8 dicembre, 1983
E possano essere di conforto al suoi familiari — a voi cari Laura, Oreste, Luca — questo grande affetto di popolo e la certezza che noi comunisti continueremo a seguire l'esempio di Umberto Terracini.
L'Unità, 8 dicembre, 1983
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