24.4.14

Per Umberto Terracini. L'addio «triste e fiero» di Enrico Berlinguer


In prima fila a sinistra Umberto Terracini
Ai funerali di Umberto Terracini, cui mi accadde, un po' per caso, di partecipare, nel dicembre del 1983 c'era molta gente d'ogni estrazione, dalle massime autorità repubblicane (Pertini, Jotti, Cossiga, Elia e Craxi, presidenti della Repubblica, delle due Camere, della Consulta e del Consiglio dei ministri) a tutti i maggiori dirigenti del Pci, a tanti cittadini comuni, comunisti e non, tra cui tanti muratori e tanti giovani. 
Pertini, dopo aver sostato davanti alla bara, prese per il braccio la vedova, Laura, poi la accompagnò nel corteo. Dopo un breve ricordo di Saragat, che aveva conosciuto Terracini giovanissimo a Torino, ascoltai il discorso funebre, che era stato affidato al segretario Enrico Berlinguer. Si trattò – per usare le parole da lui usate – di un addio triste e fiero, quello qui postato. (S.L.L.) 
7 Dicembre 1983. Berlinguer pronuncia il discorso funebre per Umberto Terracini
Noi rivolgiamo qui oggi l'ultimo saluto, un saluto triste e fiero, a Umberto Terracini, uno degli artefici della Repubblica e della democrazia italiana e, insieme, l'amato compagno, un maestro di pensiero e di vita, un comunista esemplare.
Terracini, con tutta una generazione antifascista che aveva saputo sfidare il carcere, il confino, l'esilio, mettere a repentaglio e sacrificare la vita stessa, sarà uno di coloro che trarranno a salvamento l'Italia, secondo la previsione gramsciana, dalla rovina in cui il fascismo l'aveva trascinata.
È la generazione di Pertini e di Saragat, di Togliatti e di Nenni, degli esponenti della corrente popolare cristiana e del pensiero liberal-democratico: ad essa dobbiamo il riscatto democratico del Paese, la Repubblica, il Patto costituzionale. Ad essa sarà dato dai comunisti quello straordinario contributo che la storia ha riconosciuto.
Ognuna delle eminenti figure dì quella generazione emerge per un proprio tratto e per una propria particolare forza interiore nel dibattito e negli scontri che la percorrono. Terracini è tra i più precoci nell'impegno generoso di lotta e nella intuizione che qualcosa di profondo è ammalato nel seno della formazione economico-sociale capitalistica così come essa gli appare negli anni della sua prima giovinezza.
Ha già conosciuto il carcere e poi gli orrori di quella guerra contro la quale aveva lottato. È stato assieme a Gramsci alla testa della Sezione socialista torinese e delle battaglie operaie alle quali l'“Ordine Nuovo” partecipa con voce originale, con la tematica consiliare, con le riflessioni sul partito, con il giudizio sulla Rivoluzione d'Ottobre, un giudizio non soltanto entusiasta, ma penetrante e sottile, capace di coglierne subito i valori permanenti e universali.
Da tempo, ormai, sono al lavoro storici per illuminare il contributo che Terracini, da quel primo lontano inizio, ha portato alla causa dei lavoratori, della democrazia e del socialismo. È una riflessione che continuerà: da essa, in ogni modo, emerge che dal momento stesso in cui Terracini partecipa in modo determinante alla costituzione del nuovo partito politico del movimento operaio — il partito comunista — fino al suo ultimo intervento nella Direzione del proprio partito, la presenza di Terracini è quella di una intelligenza critica, di una stringente capacità ragionativa, di una inesausta passione morale.
È la presenza di chi sa che il nuovo partito non ha dinnanzi a sé una che strada già tracciata una volta per tutte e che la sua stessa nascita è prova di una crisi acuta della società e dello Stato. E' per questo che la capacità polemica di Terracini sa assumere posizioni diverse, traendo la lezione dalla storia e dai fatti.
Nella polemica con Lenin, che sollecita i comunisti italiani ad una linea di fronte unico con i socialisti, allora ancora guidati dall'ala di sinistra, Terracini sarà sostenitore — nonostante l'autorevolezza dell'interlocutore — di una tesi di rigida chiusura. Sarà lo stesso Terracini, più tardi, ad ammonire dal carcere i compagni che dirigono il partito sui rischi della svolta settaria del VI Congresso dell'Internazionale comunista, svolta che verrà modificata e corretta solo dopo la tragedia della vittoria nazista in Germania. Tanto più alta ci appare la figura di Terracini, quanto più egli deve affrontare non solo la brutalità fascista, il carcere duro, l'isolamento, il confino per tutto il tempo della giovinezza — per quasi 18 lunghissimi anni — ma deve contemporaneamente misurarsi con i propri compagni di organizzazione e di pena in uno scontro che giungerà sino ad una rottura certamente ingiusta, quali che ne fossero i complessi motivi, in quella tormentata vigilia della seconda guerra mondiale, al momento del patto di non aggressione sovietico-tedesco.
Sarà nella lotta di Resistenza e per il ritorno in Italia di Togliatti, che potrà essere superata quella dolorosa lacerazione: ma è proprio mentre essa dura che Terracini prova, assieme alla fermezza dei suoi convincimenti, la fiducia nella capacità del proprio partito di camminare sulla strada giusta: quella stessa strada per la quale può tornare a battersi in prima persona come uno dei capi della Repubblica partigiana dell'Ossola e poi, nuovamente, come uno dei massimi dirigenti del suo partito.
L'analisi storica mostrerà quanto si intrecciassero in quei dibattiti d'allora le ragioni e i torti. Ma rimane indubitabile, per chi non sia affetto da preconcetto fazioso, lo sforzo immane di ciascuno per individuare, in una condizione così difficile e con così scarse possibilità di indagine, la via più rispondente alle necessità del movimento dei lavoratori e agli interessi del Paese. Poteva essere facile, in quei frangenti, smarrirsi in modo irrimediabile nel momento in cui ci si trovava isolati e perdenti in una disputa teorica o politica: a qualcuno capitò, infatti, di passare addirittura dall'altra parte. Terracini non solo non cedette mai, ma seppe tener fede al suo partito anche nelle circostanze più difficili: e seppe farlo laicamente — così era nel suo carattere e nella sua formazione — e non certo, come qualcuno dice, per una sorta di concezione religiosa del partito.
Gli anni che vanno dal '43 al '47 costituiscono, ha scritto il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, uno dei più creativi della storia nazionale italiana-, sono l'“età Costituente”. Essa comprende dapprima il complesso triennio di preparazione, con la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale, la lotta armata contro il nazifascismo, il regime transitorio, la istituzione della Consulta, lo svolgimento del referendum istituzionale con la vittoria della Repubblica; e poi il biennio fervidissimo della attività della Assemblea Costituente, che si insediò il 23 giugno 1946. Di essa, dopo Giuseppe Saragat, dal febbraio 1947 fino alla fine della legislatura, Umberto Terracini — su proposta di Togliatti, presidente del gruppo parlamentare comunista, e per larghissimo consenso assembleare — è il presidente.
Un comunista veniva cosi chiamato a rappresentare nel nuovo ordinamento dello Stato la carica immediatamente seconda a quella del Presidente della Repubblica.
Come assolve questo suo compito Terracini?
Noi affidiamo il giudizio a una personalità che non era della nostra parte e della nostra epoca, alle parole che pronunciò Vittorio Emanuele Orlando al termine di quella solenne, storica seduta dell'Assemblea nella quale venne approvata la nostra Costituzione repubblicana.
Disse Orlando: «A Enrico De Nicola, innanzitutto, esprimo i nostri ringraziamenti; e poi a questo nostro Presidente. In lui (in Umberto Terracini) c'è una vocazione formidabile, la quale ha sostituito l'esperienza, perché negli ultimi anni della fortunosa e mirabile sua vita egli non ha potuto più frequentare aule universitarie, non ha più potuto studiare precisamente quei regolamenti e quelle fonti di diritto, da cui si formano poi gli atti costituzionali. Egli si è dimostrato veramente straordinario!... Egli si muoveva con una padronanza assoluta, aveva presente tutto, sapeva conciliare la fermezza di una autorità che s'impone con la bonarietà di un collega che trova l'arguzia per comporre un dissenso, un contrasto, che ad altri sarebbe, forse, apparso addirittura insormontabile! Egli è stato veramente un grande Presidente — direi — un Presidente nato perfetto”.
Terracini visse a quel modo da tutti ammirato la sua personale funzione, perché aveva piena consapevolezza del compito che dovevano assolvere l'Assemblea Costituente stessa, tutti i suoi membri e il frutto della loro opera — la Costituzione — una volta terminata.

Terracini firma la Costituzione
Nel rivolgersi ai deputati, pochi minuti dopo l'approvazione della Costituzione, Terracini così si esprimeva: “L'Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto d'amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui esso lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. Cittadini fra i cittadini, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica. Con voi inneggio a tempi nuovi cui, col vostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi”.
Da questo invito e auspicio di Terracini si ricava un giudizio storico e la indicazione di un impegno politico: se il primo Risorgimento era stato il compimento di uno sforzo durato decenni per portare a divenire uno Stato unitario, il Secondo Risorgimento (come è stato spesso chiamato il periodo della Resistenza, dell'avvento della Repubblica, della elaborazione della Carta Costituzionale) segnava l'avvio di un processo nuovo e rinnovatore, che doveva investire e compenetrare l'intera vita, presente e futura, della società e dello Stato. In tal modo si sarebbe corrisposto alle aspirazioni profonde del popolo italiano.
Terracini sentiva che dedicarsi ad una simile opera era il compito civile e politico preminente per realizzare la effettiva rinascita del Paese. Coartefice della Costituzione, Terracini ne fu uno dei più coerenti difensori, ne esigette il rispetto e soprattutto fu fino ai nostri giorni uno dei combattenti più appassionati per la sua completa attuazione, nella lettera e nello spirito.
Di quante battaglie nelle piazze, nelle aule parlamentari e in quelle giudiziarie è stato protagonista, e spesso vittorioso, Terracini! Quante volte lo abbiamo visto scendere in campo, instancabile contro lo sfruttamento delle classi lavoratrici, sia quando erano colpite dalle ingiustizie della classe avversa, sia quando venivano ingiustamente percosse dalla repressione dello Stato e del suoi organi.
Lo abbiamo visto onnipresente difensore dei diritti sociali e civili, di quelli tradizionali e di quelli nuovi via via sorti con il procedere dei tempi, delle libertà individuali e di quelle collettive, dell'autonomia dei Comuni contro le invadenze e le pretese accentratrici dello Stato, paladino degli interessi e dei diritti delle minoranze...
Un esempio di coerenza politica e morale portato avanti agli occhi del partito e del Paese sempre in piena libertà, ma senza l'ingombro dell'ostentazione.
Noi abbiamo amato e ammirato il compagno Terracini per la sua capacità di unire alla più viva e talora sferzante polemica con l'avversario la tolleranza e la comprensione delle ragioni altrui, e di congiungere ai dissensi non rari e non marginali con i propri compagni la fermezza degli orientamenti di fondo, la fedeltà verso gli ideali comunisti della propria giovinezza e verso i principi regolatori della vita dell'organizzazione che egli aveva contribuito a creare. Da ciò è venuto il contributo allo sviluppo della linea interna e internazionale del suo partito; una linea che vuole intrecciare democrazia e socialismo, piena autonomia nazionale e vivo spirito internazionalista.
Proprio la sua capacità di usare costruttivamente la sua intelligenza critica ne hanno fatto — contrariamente all'effigie deformata che taluno ne ha tracciata — un dirigente comunista di primo piano sino all'estremo della sua vita.
Siamo fieri di tanto compagno, ma siamo fieri anche di appartenere ai partito che ha saputo avvalersi delle sue doti in incarichi di alta responsabilità. Uno spirito indipendente e anticonformista, una coscienza libera sempre ferma nei propri convincimenti sulle questioni fondamentali, un intellettuale di fine cultura, una cultura che sapeva esprimere con una eloquenza ragionatrice, talvolta e pungente, spesso affascinante: Terracini era questo, ed era anche l'espressione dell'animo delicato e del tratto affettuoso e gentile di chi sa che l'essere rivoluzionario vuole anche dire saper partecipare del sentimenti migliori delle donne e degli uomini a partire dai più semplici e diseredati. Un'umanità profonda, una mente aperta, una tensione combattiva e proprio per tutto questo un comunista esemplare e un grande un uomo che ha contribuito ad innalzare il ruolo del movimento operaio, del Partito comunista, dell'antifascismo e a tessere la storia del paese per oltre 70 anni.
Ecco perché Terracini era profondamente stimato e rispettato da tutti, benvoluto dal compagni, dai lavoratori della sua natia Genova e di tutta Italia, da tanti, tanti giovani e dagli elettori di Lucca, di di Livorno, che ad ogni Legislatura lo vollero candidato e lo rielessero con altissimo suffragio: sicché Terracini, fino alla fine, siederà in Parlamento, al Senato, eletto dal popolo.
La presenza a questa cerimonia che rende l'estremo saluto a Umberto Terracini di tante personalità dello Stato fino al supremo magistrato, il Presidente Pertini, di rappresentanti di tutti i partiti democratici, delle associazioni antifasciste, della stampa, insieme a quella di tanti comunisti, di tanti lavoratori, di giovani, di cittadini di ogni ceto, stanno a dire che con la scomparsa di questo nostro grande compagno non solo il Partito comunista, ma la Repubblica perdono uno tra i più alti esempi delle qualità peculiari del nostro popolo e delle sue indomabili speranze di rinnovamento e di progresso della nostra Italia.
Ringrazio tutti voi che siete qui, tutti coloro che si sono uniti a noi nel cordoglio e nel ricordo di Umberto Terracini e ringrazio Giuseppe Saragat per le nobili e sincere parole con cui egli ha espresso la sua alta considerazione e la sua amicizia verso il nostro compagno perduto.
E possano essere di conforto al suoi familiari — a voi cari Laura, Oreste, Luca — questo grande affetto di popolo e la certezza che noi comunisti continueremo a seguire l'esempio di Umberto Terracini.

L'Unità, 8 dicembre, 1983

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