1.4.14

Il dilemma del socialismo moderno (John. M. Keynes)

Dal sito di “Punto Rosso”, un centro di cultura della sinistra milanese, riprendo un articolo di Lord Keynes sul socialismo originariamente pubblicato dalla rivista della inglese “Society for Socialist Inquiry” il 13 dicembre 1931. (S.L.L.)
Lord John. M. Keynes
Oltre a due braccia e a due gambe per l’oratoria, per il gesticolare e per il movimento, il socialista ha due teste e due cuori che sono sempre in guerra gli uni con gli altri. L’uno arde dal desiderio di fare delle cose perché sono economicamente sane. L’altro non è da meno nel voler delle cose che ammette essere economicamente insane.
Con economicamente sano intendo miglioramenti nell’organizzazione, e così via, che sono auspicati perché accresceranno la produzione della ricchezza; e con economicamente insano ciò che avrà, o potrà avere, l’effetto opposto.
C’è un’ulteriore distinzione da fare. Le cose che sono economicamente insane vengono propugnate per due insiemi di ragioni molto differenti. Le prime si raggruppano attorno al perseguimento dell’ideale. Coloro che sono influenzati da esso sono pronti a sacrificare il benessere economico per il raggiungimento di beni più elevati: la giustizia, l’eguaglianza, la bellezza, o la maggior gloria della repubblica. Le seconde sono politiche: far crescere la tensione, attrarre seguaci, attizzare la lotta di classe, irritare ed esasperare i poteri esistenti e rendere il loro compito più difficile e forse impossibile, in modo tale che la stessa forza degli eventi possa spingere alla loro deposizione e sostituzione. Per questo alcune cose possono essere propugnate nonostante siano economicamente insane, e altre possono esserlo perché sono economicamente insane.
Questi tre motivi coesistono, variamente combinati, nel petto di ogni socialista. Essi possono essere visti in forma ingrandita, e quindi più chiara, nella politica dei Bolscevichi, che cambiano o vacillano a seconda del prevalere dell’uno o dell’altro motivo. Il credo marxiano, così come mi appare, è che il terzo motivo, quello rivoluzionario, dovrebbe prevalere nella prima fase, quella della conquista del potere; mentre il primo motivo, quello pratico, dovrebbe prevalere nella seconda fase, nella quale il potere è impiegato per preparare la via. Il secondo, il motivo ideale, dovrebbe prevalere quando la repubblica socialista emerge dal sangue, dalla polvere e dal travaglio, e procede con le sue ali. La Rivoluzione, il Piano Quinquennale, l’Ideale – ecco la progressione. Ma la separazione tra le fasi non è tracciata con chiarezza, e tutti e tre i motivi sono sempre presenti in qualche misura. Per rendere la cosa comprensibile agli inglesi potremmo riassumere i motivi come quello politico, quello pratico e quello ideale.
Ora, a mio avviso, è estremamente importante sapere ciò che si sta facendo, in quale fase ci si trova, e in che proporzione i tre motivi sono mescolati.
Da parte mia preferirei definire il programma socialista come finalizzato al conseguimento del potere politico, con un’attenzione diretta a fare in prima istanza ciò che è economicamente sano, cosicché la comunità possa successivamente diventare così ricca da potersi permettere ciò che è economicamente insano.
Il mio scopo è l’ideale, il mio obiettivo è quello di collocare le considerazioni economiche in posizione subordinata; ma il mio metodo in questo momento dell’evoluzione economica e sociale è quello di cercare di avanzare verso il fine concentrandosi sul fare ciò che è economicamente sano. Ci sono però altri, di ciò sono consapevole, che preferirebbero, perfino in una crisi come quella odierna, propugnare ciò che è economicamente insano, perché credono che questa sia la migliore via per conquistare il potere politico (che rimane comunque il primo passo). Per loro l’unico mezzo per realizzare un nuovo sistema è quello di rendere il sistema esistente ingovernabile.
Secondo me questo modo di pensare è erroneo, perché la rovina del vecchio sistema, lungi dal rendere la costruzione del nuovo tecnicamente più semplice, può, al contrario, renderla impossibile. Poiché sarà solo sulla base delle accresciute risorse, non sulla base della povertà, che il grande esperimento della repubblica ideale dovrà essere portato avanti. Non mi nascondo la difficoltà di far crescere la tensione sociale quando le cose vanno ragionevolmente bene. Ma considero che proprio questo sia il problema che deve essere risolto. Radicarsi profondamente nelle migliori intelligenze e nei più acuti e forti sentimenti della comunità, per riuscire a mantenere alta la tensione anche quando le cose vanno ragionevolmente bene; crescere non sulla spinta della miseria e dello scontento, ma sull’energia viva della passione per la giusta costruzione di una società valida – questo è il compito.
Ciò mi porta alle perplessità quotidiane sul socialismo britannico, e forse sul socialismo ovunque, così come lo vedo. Il problema pratico, il problema di come fare quello che è economicamente sano, è prevalentemente un problema intellettuale e, come accade, un problema molto difficile, sul quale c’è molto dissenso. Ma sul piano intellettuale un’ampia componente, probabilmente la componente prevalente, del Partito Laburista è all’antica e perfino anti-intellettuale. Uno dei guai degli scorsi anni va individuato nel fatto che i leader del Partito Laburista si sono distinti dai leader degli altri partiti nell’esser più disposti a fare o a rischiare cose che nei loro cuori pensavano essere economicamente sbagliate, ma allo stesso tempo essi non si trovavano fondamentalmente in dissenso nelle loro menti con gli altri partiti su ciò che è economicamente sano o insano. Le idee dell’On. Thomas, ad esempio, su ciò che è economicamente sano, sono, e sono sempre state, quasi esattamente le stesse di quelle dei conservatori nazionalisti, Chamberlain e Amery, e le idee del Visconte di Snowden sono state esattamente le stesse di quelle degli economisti liberisti e deflazionisti come l’On. Runciman o Sir Herbert Samuel o Lord Grey. Essi non hanno avuto alcuna simpatia nei confronti di coloro che avanzavano delle nuove nozioni su ciò che è economicamente sano, sia che gli innovatori avessero ragione o torto. E questo stato di cose è profondamente radicato nel Partito Laburista. Poiché quanto ho appena detto vale, nell’insieme, per molte altre tra le più rispettate colonne del partito.
Ora, questo pone il Partito Laburista in una posizione flebile quando – com’è accaduto la scorsa estate in conseguenza della deflazione – il paese piomba nei guai ed emerge un’incontenibile e generale richiesta di soluzioni pratiche, e tutti esigono che, almeno per i tempi in corso, si dia seguito a ciò che è economicamente sano. Poiché comporta che in una simile congiuntura la maggior parte dei leader del Partito Laburista concordano profondamente con i loro oppositori, cosicché, avendo una cattiva coscienza, diventano altamente inefficaci dal punto di vista pratico del governo. Il governo laburista si trovò in una situazione disperata lo scorso agosto, poiché la maggior parte dei suoi membri credeva coscienziosamente nel goldstandard e nella deflazione attuata con sacrifici, e non era preparata a sbarazzarsi di queste cose. Ma allo stesso tempo essi non erano preparati a sbarazzarsi dei motivi ideali e politici sulla cui base erano cresciuti.
Pertanto il primo compito del Partito Laburista, se vuol far presa, è, per come la vedo, di diventare intellettualmente emancipato nei confronti di ciò che è economicamente sano, senza perciò perdere la sua forza politica e la sua organizzazione, così profondamente radicata nella vita sociale e economica dell’Inghilterra, e senza abdicare ai suoi ideali e ai suoi obiettivi ultimi.
Poiché nel mondo contemporaneo si deve scegliere tra l’uno e l’altro. Vale a dire che deve prevalere il motivo rivoluzionario o quello pratico. Niente ti colloca in una posizione più insulsa, o che comunque chiama il disprezzo dei cittadini inglesi, del non sapere, quando si avanza una proposta, se lo scopo viene perseguito perché è economicamente sano o perché è insano. Nessuno sapeva alle ultime elezioni su quale gamba il Partito Laburista poggiasse, e meno di tutti lo sapevano i membri del partito.
Da parte mia solleciterei un’evoluzione con la quale si riconoscesse che ci troviamo in un momento in cui è desiderabile concentrarsi su ciò che è economicamente sano. Ci sono due buone ragioni per ciò. Innanzi tutto, accade che le riforme più urgenti che sono economicamente sane non ci distolgono, come fecero in giorni trascorsi, dal perseguimento dell’ideale. Al contrario esse puntano dirette su di esso. Sono convinto che quelle cose che sono urgentemente richieste su un terreno pratico, come il controllo centrale degli investimenti e una diversa distribuzione del reddito, tale da fornire un potere di acquisto che garantisca uno sbocco all’enorme prodotto potenziale garantito dalla tecnica moderna, tenderanno anche a produrre un migliore tipo di società su un terreno ideale. C’è probabilmente una minore opposizione oggi tra l’obiettivo pratico e quello ideale, rispetto a quanta ce n’è stata fino ad ora.
In secondo luogo c’è così tanto da sperare oggi dal perseguimento di ciò che è economicamente sano, che è nostro dovere offrire a questo motivo la sua opportunità. Esso può infatti consentirci di risolvere una volta per tutte il problema della povertà. Attualmente il mondo è ostacolato da un fenomeno che avrebbe sorpreso i nostri padri – dal fallimento dell’economia nello sfruttare le possibilità offerte dalla tecnica produttiva e distributiva; o, piuttosto, la tecnica produttiva ha raggiunto un livello di perfezione tale da rendere evidenti i difetti dell’organizzazione economica che sono sempre esistiti, anche se sono passati inosservati, e che hanno impoverito gli uomini da sempre.
Con l’espressione organizzazione economica intendo il modo per risolvere i problemi inerenti all’organizzazione generale dell’impiego delle risorse, che è diverso dai particolari problemi della produzione e della distribuzione che sono appannaggio delle imprese. Nei prossimi venticinque anni, secondo me, gli economisti, che sono attualmente i più incompetenti, saranno il gruppo di scienziati più importante al mondo. E c’è da sperare che – se avranno successo – dopo di ciò essi non tornino più a essere importanti. Ma durante quest’orrido intervallo, quando queste creature saranno importanti, è essenziale che siano libere di risolvere il loro problema in un ambiente quanto più possibile sgombro dalle distorsioni determinate dagli altri motivi.
Questo perché essi hanno già ampiamente dimostrato di essere, con il confuso oggetto del loro sapere, tra gli uomini meno indipendenti dall’atmosfera circostante, come la storia della loro teoria dimostra. Tutto ciò è stato portato a maturazione, o almeno all’ordine del giorno, dai radicali cambiamenti intervenuti nella tecnica moderna, specialmente nel corso degli ultimi dieci anni, cambiamenti che sono stati brillantemente descritti da Fred Henderson ne Le conseguenze economiche dell’energia produttiva. Sin dai tempi di cui non abbiamo nemmeno memoria i muscoli dell’uomo sono stati, per la maggior parte degli scopi e delle operazioni produttive, la fonte dell’energia, talvolta coadiuvati dal vento, dall’acqua o dagli animali domestici. Il lavoro (labor), nel senso letterale, è stato il fattore primario della produzione. Faceva una gran differenza quando, per il trasporto o per altre operazioni limitate, si aggiungevano altre fonti di energia.
Ma perfino l’impiego del vapore e dell’elettricità e del petrolio non ha, di per sé, determinato un cambiamento così radicale come quello causato dai nuovi processi di produzione. Lo scopo principale delle nuove macchine, fino agli anni più recenti, era quello di rendere il lavoro, e cioè i muscoli umani, più efficienti. Gli economisti potevano così plausibilmente sostenere che le macchine integravano il lavoro, e non competevano con esso. Ma l’effetto degli ultimi tipi di macchine è sempre di più, non di rendere i muscoli degli uomini più efficienti, bensì di renderli obsoleti. E la conseguenza è duplice. Innanzi tutto ci fornisce la capacità di produrre beni di consumo, diversi dai servizi personali, quasi senza limiti; e inoltre, di usare così poco lavoro nel processo che una quota sempre crescente dell’occupazione umana deve essere impiegata o nel campo dei servizi personali o nel far fronte alla domanda di beni durevoli che, se il saggio dell’interesse fosse tenuto basso abbastanza, saremmo ancora lontani dall’aver soddisfatto. Pertanto il sistema economico deve confrontarsi con un problema di riaggiustamento che presenta una difficoltà inusuale. Se è vero che questo sistema è stato sempre malcompreso e maldiretto, se è vero che la sua ipotetica armonia interna e il suo carattere autoregolantesi, sulla cui base i nostri padri furono pronti a consegnare quel sistema al laissez-faire, sono delle illusioni, è una conseguenza naturale che gli eventi ci mostrino dove non siamo all’altezza del compito. Il nostro primo compito è perciò di scoprire ciò che è economicamente sano e farlo. Questo transitorio concentrarsi sul motivo pratico rappresenta il migliore contributo che possiamo oggi fornire al perseguimento dell’ideale.

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