Da poco tempo il numero
di autoveicoli circolanti nel mondo ha raggiunto il valore di un
miliardo, uno ogni sette abitanti della Terra. Tale numero comprende
circa 750 milioni di autoveicoli passeggeri e circa 250 milioni di
autoveicoli commerciali “leggeri”, definiti come quelli di peso
inferiore a 3500 chili. A questi vanno aggiunti circa 400 milioni di
camion “pesanti”. A occhio e croce si tratta di una massa di
circa 3000 milioni di tonnellate di ferro, alluminio, gomma,
plastica, e poi rame, cromo, vetro, vernici, eccetera, che circolano
senza sosta nelle strade del mondo, che trasportano, lungo le strade
e nelle città, persone, e poi merci, alimenti, benzina, macchinari,
carta, legname, metalli, eccetera.
Un ininterrotto flusso di
materiali che rappresenta il sangue dell’economia, e che ogni anno
“beve” 2500 milioni di tonnellate di benzina e gasolio, che
immette nell’atmosfera 9 dei 30 miliardi di tonnellate complessivi
di gas serra. In Italia gli autoveicoli passeggeri sono circa 40
milioni, più di uno ogni due abitanti, a cui si aggiungono altri
quattro milioni di mezzi di trasporto commerciali. Il traguardo “del
miliardo” è stato raggiunto in poco più di un secolo. Fino alla
prima metà dell’Ottocento gli unici modi per spostare persone e
merci erano le proprie gambe e il cavallo. A cavallo viaggiavano
veloci e senza fatica le persone; i cavalli trascinavano le carrozze
per i passeggeri che volevano stare più comodi, e i carri con le
merci.
Il cavallo, fin dall’alba
dell’umanità, è stato così importante come fonte di energia che
gli ingegneri, quando hanno voluto dare una misura della potenza
delle macchine, non hanno trovato di meglio che confrontare la loro
potenza con quella del cavallo e hanno chiamato l’unità di misura
“cavallo-vapore”, HP (Horse-Power), corrispondente a circa 0,75
chilowatt. Il cammino degli autoveicoli è stato lento ed è
cominciato in forma modesta negli ultimi anni dell’Ottocento.
Abbastanza curiosamente, l’avvento del “veicolo che si muove da
solo”, l’auto-mobile, appunto, è stato all’inizio osteggiato:
era rumoroso, spaventava i cavalli, emetteva fumi e sollevava
polveri.
Per arrivare all’attuale
miliardo di autoveicoli sono state necessarie innumerevoli
innovazioni tecniche; tanto per cominciare è stato necessario
asfaltare le strade, perfezionare i processi di raffinazione del
petrolio in modo da ottenere dei carburanti adatti ai nuovi motori,
modificare la tecnologia della gomma naturale e di quella sintetica
per realizzare le coperture delle ruote, fino ai moderni pneumatici.
Soprattutto è stato necessario rivoluzionare i processi
dell’industria meccanica. Nei primi anni del Novecento le varie
parti di ogni autoveicolo venivano messe insieme a mano.
L’automobile sarebbe
diventata, proprio cento anni fa, con l’inizio della “prima”
sciagurata guerra mondiale, un mezzo di trasporto militare
essenziale; finita la guerra, nel 1919, è diventata anche un simbolo
di stato sociale, come prima erano state le carrozze a cavalli. A
soddisfare la nuova domanda di un mondo desideroso di miglioramento
pensò l’americano Henry Ford, il re delle automobili, introducendo
nella sua fabbrica la produzione “in serie” di veicoli in grande
quantità e a prezzo ragionevole. Gli autoveicoli dovevano essere
quanto più simili fra loro, “standardizzati”, e venivano messi
insieme in una “catena” di montaggio da operai affiancati,
ciascuno dei quali doveva fare lo stesso gesto, mentre i veicoli
avanzavano su un nastro trasportatore, per uscire alla fine pronti al
viaggio. Una delle prime automobili prodotte in grande serie negli
Stati Uniti era il favoloso “modello T” che Ford si vantava di
poter offrire di qualsiasi colore purché fosse nero!
La lunga strada avrebbe
anche incontrato vari inconvenienti di natura ambientale. Il primo è
stato rappresentato dal fatto che i motori a scoppio, con ciclo Otto
a benzina o Diesel a gasolio, funzionano quasi esclusivamente
bruciando un derivato del petrolio; la loro “perfezione” viene
pagata con l’inevitabile produzione, durante la combustione dei
carburanti, di gas che sono nocivi per la salute, principalmente
ossido di carbonio, poi ossidi di azoto, insieme a polveri e
idrocarburi cancerogeni. Molti tentativi di perfezionamento dei
carburanti per renderli più adatti ai motori capaci di muovere
veicoli veloci e grandi, sono stati accompagnati da crescenti
inquinamenti dell’atmosfera, soprattutto dell’aria delle città.
Il piombo tetraetile, uno
degli additivi per benzina di maggior ”successo”, usato per mezzo
secolo, ha avvelenato migliaia di persone con i composti del piombo
scaricati dai tubi di scappamento. Il “miglior” agente di attrito
dei freni e delle frizioni è stato per decenni a base di amianto;
l’usura dell’amianto e della gomma dei pneumatici sono stati
fonti di polveri nocive nell’aria. L’aumento della popolazione di
autoveicoli si scontra anche con la limitata capacità ricettiva
delle strade e delle città, come si vede nelle città europee col
traffico congestionato. Senza contare che quando un autoveicolo non
serve più, la sua “rottamazione”, cioè lo smantellamento per
recuperare una parte dei materiali ancora utili, comporta rilevanti
problemi di inquinamento.
Trappole tecnologiche ben note ai paesi industriali ormai sazi, anche troppo, di autoveicoli ma in cui cadranno i paesi emergenti, così assetati delle “Insolent chariots”, le invadenti carrette, come lo scrittore americano John Keats ha definito le automobili.
Trappole tecnologiche ben note ai paesi industriali ormai sazi, anche troppo, di autoveicoli ma in cui cadranno i paesi emergenti, così assetati delle “Insolent chariots”, le invadenti carrette, come lo scrittore americano John Keats ha definito le automobili.
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 1
luglio 2014
2 commenti:
John Keats ? Mi sa che è stato preso uno svarione dal giornalista.....uno dei tanti oramai nei giornali.
L'autore di "The insolent chariots", John Keats, non è il poeta inglese autore dell'ODE A UN'URNA GRECA, ma un omonimo scrittore statunitense (1921-2000). Questa volta lo svarione non lo ha preso il "giornalista". L'autore dell'articolo non è oltretutto giornalista di mestiere, ma un importante studioso, chimico specializzato nel ciclo delle merci, a lungo professore di Merceologia all'Università di Bari, uno dei padri dell'ambientalismo scientifico italiano.
Posta un commento