Il Teseo in marmo pario che decorava il frontone del tempio di Apollo Medico Sosiano in Roma ora al Museo della Centrale Montemartini |
L'articolo prende le
mosse dall'esposizione in Campidoglio, 29 anni fa, della
ateniese Amazzonomachìa di
marmo, ricostruita dal sovrintendente La Rocca, che aveva decorato il
tempio di Apollo Medico Sosiano, sito a Roma, vicino al teatro di
Marcello. Mi pare una pagina eccellente, che va al di là della buona divulgazione perché, usando come chiave un piccolo episodio di storia
monumentale, apre squarci importanti sia sulla storia politica sia
sulla storia delle mentalità nell'antica Atene e nell'antica Roma.
Oltre alla lettura si consiglia una visita. (S.L.L.)
I resti del Tempio di Apollo Medico Sosiano vicino al teatro di Marcello, in Roma |
Se si tengono lontani
dall'arco di Tito - perché vi sono rappresentati gli arredi sacri
del tempio di Gerusalemme ammassati sui carri del trionfo -
altrettanto gli ebrei romani dovrebbero fare con le tre colonne
corinzie vicine al teatro di Marcello, alle porte del ghetto. Sono le
sole rimaste del Tempio di Apollo Medico, detto Sosiano dal nome di
Caio Sosio, un generale di Antonio che fu governatore di Siria e
Cilicia, console nel 32 a.C., e che finanziò l' edificio sacro con
il bottino d'una campagna in Giudea, la provincia indomabile. Quel
santuario era il ripristino, o la ricostruzione, d'un tempio
antichissimo più volte restaurato. Era stato dedicato al dio greco
nella sua qualità di "guaritore" nel 431 a.C., in
occasione d'una pestilenza; ma il vero intento del console, "sponsor"
dell'ultimo rifacimento, era quello di eternare nel marmo il ricordo
del proprio trionfo, celebrato due anni prima.
Controlliamo sui Fasti
la lista dei nomi di tutti i trionfatori, da Romolo in poi, che
Augusto fece affiggere sotto i fornici dell' arco eretto in suo onore
e che ora vediamo, con la loro cornice michelangiolesca, nella sala
della Lupa: Sosio trionfò "ex Judaea" quattro
giorni prima delle None settembrine, l'anno 719 di Roma: il 3
settembre del 34. Quel trionfo, quell'edificio erano le battute
estreme della tregua tra Ottaviano e Antonio. Non mos, non jus,
scrive Tacito di quel periodo: non c'era più legalità né rispetto
di quelle regole di condotta che costituivano il codice etico romano.
Mentre Antonio in Egitto si atteggiava a Faraone, i suoi ufficiali a
Roma ostentavano i successi riportati nelle campagne d'Oriente e ne
sperperavano il frutto in grandiose opere pubbliche, a maggior gloria
dell'assente. Quel tempio dedicato ad Apollo sembra racchiudere un
più pungente intento polemico contro Ottaviano, il quale si
proclamava protetto dal dio greco e addirittura suo figlio: la
castità delle madri non contava, quando si trattava di propaganda.
Negli anni successivi,
dopo la scomparsa di Antonio e Cleopatra, Ottaviano, ormai Augusto,
concesse a Sosio un titolo religioso, che comportava la consultazione
dei libri sibillini; gli riconosceva dunque una certa famigliarità
con il suo nume tutelare, al quale peraltro aveva dedicato un nuovo
santuario sul Palatino, a un passo da casa sua. Benché indenne e
reintegrato nelle cariche, Sosio tuttavia non si può chiamare un
"pentito" e nemmeno un "dissociato"; il perdono
del principe lo raggiunse in esilio, ma fino all'ultimo egli era
rimasto al fianco di Antonio e ad Azio comandava l'ala sinistra della
flotta. Quel giorno però dalla vetta di Leucade Apollo aveva
lanciato i suoi dardi sui numi bestiali dell' Egitto, mostrando
clamorosamente la sua predilezione per Ottaviano.
Una volta solo al potere,
questi volle imprimere il proprio messaggio politico sul vecchio
tempio: lo dimostrano i motivi ornamentali, come l'alloro scolpito
nel marmo, che hanno un significato allusivo. Ma soprattutto il
frontone, che si ritiene prelevato da un tempio di Eretria, in Eubea,
rappresenta un manifesto augusteo e quindi si può ritenere collocato
sulla facciata del tempio dopo il 31 a.C.; se le statue di marmo
pario furono portate via dalla Grecia, non fu arrogante spoliazione,
ma un atto di pietas verso immagini sacre cadute da un tempio
distrutto, in una città rasa al suolo. Fu, al tempo stesso, un
sottile calcolo politico: esse hanno, infatti, una portata ideologica
ben precisa.
La ricostruzione dell'Amazzomachìa che decorava il tempio di Apollo Medico Sosiano in Roma ora al Museo della Centrale Montemartini |
E' il frontone che
vedremo esposto in Campidoglio da martedì 16 aprile. Il Direttore
dei Musei Capitolini, Eugenio La Rocca, lo ha ricostruito con un
lavoro paziente che dura da anni, rintracciando, accostando frammenti
dispersi e altri disordinatamente deposti nei magazzini del Teatro di
Marcello quando, dal 1927 al 1932, fu compiuto l'isolamento della
zona e dalla cavea del teatro venne asportata la terra che lo
colmava. Da quel terriccio millenario furono estratte le tre colonne
e parte dei marmi, disgraziatamente mùtili e decimati. Identificare
brano a brano le figure, ricostituire la loro disposizione nello
spazio, interpretare mediante raffronti con altri esemplari esistenti
o con fonti letterarie il soggetto che rappresentano, individuare il
luogo d'origine più probabile, la data presumibile in cui furono
eseguite e, forse, l'autore o la scuola a cui appartengono, intuire
il significato che si volle dare alla composizione nel momento in cui
fu creata e quello che essa acquistò quando fu riutilizzata a Roma:
questi ed altri ancora sono stati i filoni d'indagine che La Rocca ha
percorso.
A molti di questi
interrogativi è stata data una risposta: la scena rappresenta una
battaglia tra Greci e Amazzoni. Atena, al centro, Herakles alla sua
destra, Teseo poco lontano incoronato da Nike, la Vittoria; altri
combattenti caduti o raffigurati in varii atteggiamenti. Herakles
aveva mosso guerra a Ippolita, la regina delle Amazzoni, per
sottrarle la cintura donatale dal padre Ares come insegna del potere.
Lo accompagnarono molti amici, tra cui Teseo; a questo il capo donò
come premio per il suo valore la giovinetta Antiope, sorella della
regina (secondo altre versioni, fu lui a rapirla o fu lei, per amore,
a tradire le compagne e consegnare la città). Ippolita, per vendetta
o per recuperare la sorella o per punirla, mosse dalla Scizia verso
l'Attica e assediò l'Acropoli di Atene. Il giovane re, Teseo, riuscì
a respingere quell'esercito di femmine assatanate, liberando Atene
dal pericolo di cadere sotto lo scettro d' una donna.
A questo punto, tornano
alla mente i versi di Orazio su Cleopatra: "forsennata, la
regina preparava lutti e rovine al Campidoglio e all' impero".
Nell'antico frontone greco, contemporaneo dei marmi fidiaci del
Partenone e quindi eseguito nella seconda metà del V secolo a.C., è
Teseo il vincitore ed è chiara, secondo l'attento studio di La
Rocca, l'assimilazione del giovane Ottaviano a Teseo, di Ippolita a
Cleopatra, delle feroci guerriere scitiche alle truppe egizie. Dei
villaggi sparsi nell' Attica il giovane re aveva fatto una sola
città, Atene, la pòlis esemplare; qui egli non è visto come
l'adolescente che sventa insidie misteriose, che esce indenne dal
Labirinto dove ha ucciso il Minotauro e salvato i compagni, e che,
dopo queste prove iniziatiche, perviene alla maturità; qui Teseo è
l'esponente dei valori essenziali della grecità e rappresenta la
proiezione mitica di Ottaviano. Anche Ottaviano, adolescente ancora,
aveva superato ardue prove e, forte del consenso degli italici,
salvato Roma dal "fatale monstrum", l'odiata regina
portatrice di istituzioni e ideologie antitetiche a quelle romane.
Le statue mirabili di cui
vediamo i frammenti nel frontone ricomposto furono collocate sul
tempio di Eretria negli anni in cui Atene celebrava le sue vittorie
sulla Persia. Valorizzare Teseo a fianco dell'eroe dorico Herakles,
anzi al di sopra di lui, significò attribuire ad Atene la leadership
del mondo greco contro i barbari persiani e riconoscere alla città
egemone la gloria d' averli respinti. Dopo quelle vittorie
memorabili, con la storia, la poesia ed il marmo Atene creò la
propria identità etnica e ideologica, presentando al mondo il volto
che avrebbe conservato nei secoli: quello d'una comunità singolare
per l'amor patrio, baluardo dei valori - democrazia, libero
dibattito, rispetto dell'individuo - che, fatte le debite differenze,
sono ancora i valori europei. Mentre, con l'occupazione della Spagna,
della Gallia e della Britannia, Roma diffondeva quella cultura
nell'Europa occidentale, ereditava al tempo stesso la funzione di
barriera dell'Occidente. L'avere scelto Teseo come propria
controfigura dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, lo
straordinario intuito politico di Augusto, la sconfinata astuzia e l'
esatta valutazione dei compiti che la storia gli assegnava.
“la Repubblica”, 12
aprile 1985
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