2.4.14

Proserpina rapita. Claudiano e il sentimento della fine (Ginevra Bompiani)

Museo di Berlino. Ritratto dell'imperatore Arcadio
È uscita nella Bur una bellissima edizione di due poemi di un poeta latino, l'ultimo poeta della Roma imperiale, Claudiano, amato dal raffinato Huysmans, ma assai poco conosciuto e apprezzato in questi ultimi secoli. Il limpido, denso commento di Franco Serpa ci spiega la ragione di questo spregio: Claudiano visse alla fine del suo mondo (il sacco di Roma è del 410, Claudiano morì intorno al 404) ma anziché prevederla, inneggiò all'ultima, inutile vittoria sui Goti (La guerra dei Goti); anziché comprendere la rovina presente si volse a guardare al mito, alle antiche storie di Proserpina e Plutone. Non saremo più noi a rimproverarglielo. Anche a noi sembra che parlare di amore e di morte sia guardare al cuore di quella notte che sembra venirci incontro, noi che, come Proserpina, abbiamo «il Caos come dote». Ma nel poema di Claudiano (Il rapimento di Proserpina) non vi è tanto la rivisitazione di un mito, quanto l'evocazione del regno della morte, della sua furia assetata, del suo minaccioso irrompere fra i giochi ameni dei vivi: e che altro vuoi dire comprendere il presente se non costringere il passato, o le favole, a parlarne?
Il poema comincia con un'invocazione agli dei della morte e il racconto dell'ira di Plutone (un'altra «ira» che inizia un poema). Un giorno, all'improvviso, il re dei morti non sopporta più la sterilità della morte. Anche la morte deve diventare feconda. Ed ecco, a questa smania, tutti gli esseri elementari, chiusi nelle viscere della terra, levarsi e armarsi contro il cielo; un boato, un tremore della terra, un rimestarsi minaccioso di Titani; la morte vuole strappare alla vita la fertilità.
La fertilità sulla terra ha nome Cèrere, è la dea delle messi, e ha una figlia preziosa... Ma questa fertile dea non vuole diffondere la fertilità; tiene la figlia rinchiusa in un castello, è gelosa delle sue messi. La vicenda che condurrà Proserpina al regno dei morti, da cui la madre la strapperà per sei mesi all'anno, stabilirà il giusto ritmo della fertilità e della sterilità della terra, che per i latini è frutto di un giusto rapporto fra i due regni. Ma di questa vicenda Claudiano ci da un solo aspetto: il regno dei morti affamato di nozze e di figli; la pericolosa fessura che si scava nel muro che divide i due regni, e da cui il carro di Plutone scorrerà impetuoso. Ci dà il discorso nuziale che Plutone pronuncia alla giovane sposa atterrita: «Avrai un regno più grande... per l'immenso vuoto si estende il mio potere... noi possediamo per sempre ciò che sulla Terra fu meritato una sola volta». E la peregrinazione desolata della madre, in cerca di quella stessa fessura, che immette nell'Ade, ricerca che nel poema si arresta (senza compiersi) su uno sgomento latrare di cani...
Di una storia di amore e di morte, è stata raccontata soltanto la morte; amore le è asservito, la morte si è innamorata. I Goti stanno scendendo.


L'Europeo, 20 aprile 1981

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