Museo di Berlino. Ritratto dell'imperatore Arcadio |
È uscita nella Bur una
bellissima edizione di due poemi di un poeta latino, l'ultimo poeta
della Roma imperiale, Claudiano, amato dal raffinato Huysmans, ma
assai poco conosciuto e apprezzato in questi ultimi secoli. Il
limpido, denso commento di Franco Serpa ci spiega la ragione di
questo spregio: Claudiano visse alla fine del suo mondo (il sacco di
Roma è del 410, Claudiano morì intorno al 404) ma anziché
prevederla, inneggiò all'ultima, inutile vittoria sui Goti (La
guerra dei Goti); anziché comprendere la rovina presente si
volse a guardare al mito, alle antiche storie di Proserpina e
Plutone. Non saremo più noi a rimproverarglielo. Anche a noi sembra
che parlare di amore e di morte sia guardare al cuore di quella notte
che sembra venirci incontro, noi che, come Proserpina, abbiamo «il
Caos come dote». Ma nel poema di Claudiano (Il rapimento di
Proserpina) non vi è
tanto la rivisitazione di un mito, quanto l'evocazione del regno
della morte, della sua furia assetata, del suo minaccioso irrompere
fra i giochi ameni dei vivi: e che altro vuoi dire comprendere il
presente se non costringere il passato, o le favole, a parlarne?
Il poema comincia con
un'invocazione agli dei della morte e il racconto dell'ira di Plutone
(un'altra «ira» che inizia un poema). Un giorno, all'improvviso, il
re dei morti non sopporta più la sterilità della morte. Anche la
morte deve diventare feconda. Ed ecco, a questa smania, tutti gli
esseri elementari, chiusi nelle viscere della terra, levarsi e
armarsi contro il cielo; un boato, un tremore della terra, un
rimestarsi minaccioso di Titani; la morte vuole strappare alla vita
la fertilità.
La fertilità sulla terra
ha nome Cèrere, è la dea delle messi, e ha una figlia preziosa...
Ma questa fertile dea non vuole diffondere la fertilità; tiene la
figlia rinchiusa in un castello, è gelosa delle sue messi. La
vicenda che condurrà Proserpina al regno dei morti, da cui la madre
la strapperà per sei mesi all'anno, stabilirà il giusto ritmo della
fertilità e della sterilità della terra, che per i latini è frutto
di un giusto rapporto fra i due regni. Ma di questa vicenda Claudiano
ci da un solo aspetto: il regno dei morti affamato di nozze e di
figli; la pericolosa fessura che si scava nel muro che divide i due
regni, e da cui il carro di Plutone scorrerà impetuoso. Ci dà il
discorso nuziale che Plutone pronuncia alla giovane sposa atterrita:
«Avrai un regno più grande... per l'immenso vuoto si estende il mio
potere... noi possediamo per sempre ciò che sulla Terra fu meritato
una sola volta». E la peregrinazione desolata della madre, in cerca
di quella stessa fessura, che immette nell'Ade, ricerca che nel poema
si arresta (senza compiersi) su uno sgomento latrare di cani...
Di una storia di amore e
di morte, è stata raccontata soltanto la morte; amore le è
asservito, la morte si è innamorata. I Goti stanno scendendo.
L'Europeo, 20 aprile 1981
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