Frequentavo Brera, ma soprattutto il bar Jamaica. C’erano
artisti come Dova, Manzoni, Migneco, Recalcati, i grandi fotografi come Mario
Dondero e Alfa Castaldi. Ero una ragazzina truccatissima, alla Juliette Greco.
A volte coi capelli corti e verdi, altre volte lunghi e neri, ma con ciocche
rosse e gialle. Ero affascinata da quel mondo e a distanza di tanti anni lo
ricordo con affetto e gratitudine.
Nessuno aveva cercato di approfittare del mio entusiasmo,
della mia ingenuità. E in ogni caso vigilava mio padre, vigile urbano. Quante
volte è venuto a prendermi per le orecchie e a portarmi a casa. Abitavamo lì
vicino, in via Montebello. A volte bastava un cenno. Appariva sulla soglia, in
divisa, e via andare.
Ma non l’ho mai sentito come una presenza repressiva, anzi
lo sentivo più vicino di mia madre. Poche parole, lui, però mai uno schiaffo,
mai un urlaccio. E com’era bello con i baffi curati, un David Niven in divisa
di ghisa. E’ morto che avevo appena cominciato a fare l’attrice, giusto qualche
particina. sapevo che era fiero di me, che veniva a vedermi di nascosto. Ci
rimase male la sera della prima di Settimo:ruba
un po’ meno con Dario Fo. Sul cartellone tra gli ultimi c’era il mio nome
con l’indicazione della parte: “la prima puttana”.
Da quella sera, mentalmente, ogni prima la dedico a lui. Si
chiamava Adolf Hoering, radici ad Hannover, cognome italianizzato in Melato dal
fascismo. Era stato internato a Dachau…
Da Conversazione con
Mariangela Melato di Gianni Mura in “Emergency – il mensile”, n. 4, 2011
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